Regia di David Soren vedi scheda film
Fare di una lumaca una scheggia che viaggia a 226 miglia orarie è come fare di un topo uno chef sopraffino: un paradosso, un abbinamento assurdo che nelle pellicole d’animazione funziona benissimo. Di norma, a dire il vero, funziona nei film della Pixar (Ratatouille, per l’appunto) e un po’ meno in quelli della DreamWorks, che non riesce a scrollarsi di dosso il complesso d’inferiorità verso i rivali nemmeno dopo un gioiello visionario e progressista come I Croods 3D. Turbo 3D, diretto dallo story artist David Soren e impreziosito come sempre da celebri interpreti che prestano la loro voce nella versione originale (Ryan Reynolds, Paul Giamatti, Samuel L. Jackson, Snoop Dogg, Richard Jenkins), arriva a pochi mesi di distanza e purtroppo riporta le cose indietro. La storia della lumaca lentissima che riesce a vincere la 500 miglia di Indianapolis è infatti l’ovvia parabola del perdente che ce la fa, il sogno americano che si realizza grazie a tutti i suoi passaggi obbligati: l’utopia solitaria, l’umiliazione, la fuga, l’incontro con gli aiutanti e infine la riscossa e la vittoria, grazie alla forza che è in ognuno di noi, prima ancora di ingurgitare protossido di azoto e diventare veloci come auto da competizione… C’è poco o nulla di originale in Turbo. Le cose belle riguardano come al solito i particolari umanizzati degli animali, con gli occhi dell’eroe lumachina pronti a diventare pugni da sbattere per la disperazione, fari abbaglianti o led di un’autoradio tamarra. Ma la malinconica gentilezza delle espressioni di Ratatouille resta un miraggio e di fronte al piccolo Turbo, per quanto pasticcione e simpatico, non scatta la scintilla, fondamentale in una animazione, che trasforma il freak in «uno di noi» e al tempo stesso lo esalta come essere unico. Sarà perché questo ennesimo elogio della diversità in chiave americana in realtà non fa altro che inseguire modelli noti: non tanto, o non solo, nella narrazione, quanto soprattutto nell’immaginario visivo, pigramente modellato su Fast & Furious, sulla cultura hip hop tutta spacconate ad alto volume (Snoop Dogg è anche in colonna sonora) e su una mitologia anni 80 che ricorre con poca o nessuna ironia a pezzi d’avanguardia pura come We Are the Champions e Eye of the Tiger.
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