Regia di David Volach vedi scheda film
Il titolo originale ebraico significa “vacanza estiva”. Ma il titolo internazionale inglese è My Father, My Lord. Mio Padre, mio Signore. L’invocazione che è l’inizio di una preghiera. Il rabbino Abraham Eidelman, quando pronuncia i versi della Torah, alzando le palme al cielo, è nelle mani dell’Onnipotente, e nulla può distoglierlo. Nemmeno quando si trova in gita sulle rive del Mar Morto, e la vita lo chiama, in tutti i sensi. La sua ortodossia prevale in tutto e per tutto sulle ragioni della concretezza. Il rito procede dritto e sicuro, incurante degli eventi contingenti, e di ciò che preme sul cuore. La fede è cecità: è buio che vorrebbe preparare una luce ultraterrena, e intanto, su questa Terra, insiste col non voler vedere ciò che gli accade intorno. È indifferente al dopo, quando questo si riferisce al tempo che precede la realizzazione delle promesse messianiche. L’attimo immediatamente successivo non conta: le Sacre Scritture prescrivono di mandare via l’uccello madre, allontanare dal nido una tortora che sta nutrendo i suoi piccoli, senza preoccuparsi di ciò che sarà di quelle creature così fragili e inermi. L’obbedienza è incompatibile con la sensibilità, e forse annulla il pensiero. Cancella le ansie quotidiane, a tutto vantaggio della serenità d’animo, ma compromette seriamente il buon andamento di una casa, di una famiglia. I genitori non possono trascurare i pericoli a cui possono andare incontro i figli, che vanno sorvegliati, seguiti, confortati nelle loro insicurezze. Esther, che è una madre, lo sa bene, ma tace. E non solo dopo la prece serale, quando la regola vieta di parlare. Soffre in silenzio, mentre si adegua allo stile di vita imposto dal marito. Veste in maniera monacale, e porta i capelli coperti da una cuffia o da una parrucca, ma la sua femminilità, non trovando altro sfogo, è un’energia penetrante che sgorga dallo sguardo, sempre modesto, eppure mai rassegnato. Va trovare il figlio Menahem, nel cortile della scuola religiosa, per consegnarli i regali che ha comprato per lui, anche se quel luogo è interdetto alle donne. Ogni tanto, di soppiatto, la sua ribellione interiore emerge dall’ombra, e si manifesta in gesti semplici e dolcissimi, nei quali sono concentrati tutto il suo affetto e tutto il suo dolore per non poter fare di più. Il dubbio, all’occorrenza, si tira indietro per amore e per dovere, ma non può negarsi del tutto. E poi, forse, il precetto è nato per l’uomo, mentre alla donna spetta il compito di provare strade alternative. Il gesto di Eva è stato solo il primo di una lunga serie, in cui la trasgressione non coincide necessariamente col peccato. A Esther, purtroppo, non sarà data la possibilità di condurre a termine il suo progetto, il suo desiderio di accompagnare la crescita del suo bambino con la sua presenza vigile e costante. E la circostanza avrà un esito fatale. Una volta tanto, il dramma non è scatenato da un’incertezza di troppo. Nell’integralismo esso scaturisce, al contrario, da un pretestuoso eccesso di certezza. Quando questa diventa l’esuberante dominatrice della nostra esistenza, l’errore diviene inevitabile, per il semplice fatto che non è previsto. I salmi sono formule magiche in grado di esorcizzarlo. Sono canti di verità eterna che sostituiscono le parole di un ragionamento, potenzialmente fallaci. L’umanità resta muta e inerte, intorno al tempio in cui si compie l’attesa. Il dialogo e l’azione sono fermi, come in questo film. Si rifiutano di cambiare le cose, aspettando il giorno in cui tutto cambierà. E intanto le cose cambiano da sé. Purtroppo, in maniera irreparabile. In questa storia così appartata dal mondo, che vorrebbe aggrapparsi alle saggezze ancestrali per restare sospesa al di sopra delle sue imperfezioni, Dio è un Ente soprannaturale a cui ci si rivolge puntando gli occhi verso l’alto. Non è un’immagine impressa nel volto degli uomini. Sarà per questo che la loro voce rimane inascoltata. E non si ode il sordo rimbombo dei loro corpi pesanti che la gravità àncora al suolo. E così, alle spalle dell'estasi collettiva in cui sembra tanto facile galleggiare, qualcuno, solitario, affonda.
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