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Regia di Daniel Grou vedi scheda film

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La recensione su 10 1/2

di OGM
8 stelle

Il regista canadese Daniel Grou non è nuovo ai temi “scomodi”. Già nel precedente Les 7 jours du talion  - e in diversi episodi televisivi da lui diretti -  aveva affrontato, in chiave drammatica, horror o grottesca, il tabù della violenza e della corruzione che si manifestano nei contesti in cui sembrerebbe paradossale trovarle: nella tradizionale famiglia borghese o, come in questo film, nel mondo dell’infanzia. Tommy Leblanc ha solo dieci anni. Eppure, nella prima scena, lo vediamo mentre guarda un film pornografico, compiendo su di sé quelli che la pruderie religiosa chiama “atti impuri”. Nella sequenza successiva, commette un abuso sessuale su un bambino di sette anni, e per questo motivo viene rincorso e selvaggiamente percosso dal fratello maggiore di quest’ultimo. Finirà all’ospedale, e da lì verrà direttamente trasferito in un istituto per ragazzi difficili. Alle spalle, Tommy ha la solita storia di disagio psicologico e sociale: i due genitori, entrambi ex tossicodipendenti, non sono in grado di svolgere la loro funzione di educatori. La madre è ricoverata in un ospedale psichiatrico, il padre è uno sbandato senza istruzione, e senza nemmeno un soldo in tasca. Tommy è stato lasciato solo ed è cresciuto come un selvaggio: sa a malapena leggere, mangia con le mani, e, di fronte ad ogni piccola contrarietà viene assalito da terribili crisi di aggressività. Per la maggior parte dei dipendenti della struttura, è un piccolo pazzo che non sa stare insieme agli altri, e forse andrebbe internato in una clinica specializzata.  Solo Gilles, l’educatore a cui è stato affidato, continua, nonostante i ripetuti fallimenti, a credere nella possibilità di recuperarlo ad una vita normale. La loro vicenda non ha nulla dell’avventura sentimentale, né della sperimentazione scientifica: è una ripetitiva successione di tentativi privi di sbocco, nei quali non si coglie alcuna vera novità. Il saggio romantico alla maniera de L’enfant sauvage cede il posto al realismo di un rapporto il cui sviluppo è impedito dal profondo malessere psicologico di una delle parti coinvolte. Con Tommy non c’è nulla da fare, ed il film è quasi interamente dedicato alla dimostrazione di questo dato di fatto, ribadito a suon di frustrazioni, di errori in cui si ricade, di promesse tradite ed aspettative deluse. L’incorreggibilità di Tommy si tinge di una tragicità priva di pathos, che è l’espressione completamente ermetica di una malattia misteriosa ed invincibile. Quel ragazzino è un mondo a sé, chiuso ed incomprensibile, che non vuole essere capito, e che non ammette siano imposti limiti alla sua libertà di essere, di muoversi, di cercare il piacere a modo suo. Ogni divieto scatena la sua rabbia distruttrice,   che è la sua risposta allo sforzo di correggere il suo comportamento, assoggettandolo ad una disciplina.  Tommy intende continuare la sua ribellione, attaccando tutti verbalmente e fisicamente, perché non può rinunciare a quella che considera la sua unica arma di difesa contro un’umanità ostile, il cui scopo è solo quello di condizionarlo ed intimorirlo con le sue punizioni. Sua madre, una volta, ci ha provato con un gesto crudele, e potenzialmente mortale, e da allora Tommy ama andare a dormire con un coltello nascosto nel letto, perché solo così si sente sicuro. Il suo unico desiderio è sottrarsi alle cose che fanno male e che, per lui, sono quelle che accompagnano il suono di un rifiuto o di un rimprovero. Inutile cercare di prenderlo con le buone, perché dargli fiducia significa dargli licenza di agire di testa propria, continuando a sbagliare. Ma anche le maniere cattive non funzionano, perché comportano sempre una minaccia, che, agli occhi di Tommy, trasforma il suo autore in un avversario da sfidare, o in un nemico da combattere. Il do ut des non fa presa su un individuo senza freni. Al mondo esiste soltanto una forza in grado di domarlo: è una condizione da cui la permanenza nell’istituto lo preservava costantemente, tranne nei momenti passati nella cella di isolamento. La solitudine lo rende inerme, esaurisce la sua voglia di lottare, che è vanificata dall’assenza di riferimenti. L’origine del suo male si rivela così la potenziale fonte della sua cura, o perlomeno, lo stimolo a chiedere finalmente aiuto ed un motivo per impegnarsi a cambiare: è l’unica grande scoperta di questa storia. Una verità forse banale, ma illuminante: c’è sempre, sul cammino di ciascuno di noi, una paura incoercibile che ci obbliga al ripensamento. E magari è proprio la nostra salvezza.

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