Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film
Il meglio e il peggio dell'America in un colpo solo: ingiustizie e resistenza comunitaria. 7/8 COMUNITARIO
Sensibile e non ricattatorio, Dallas Buyers Club raffigura un'America combattiva e solidale capace di superare l'individualismo sociale (delle persone) e strutturale (del capitalismo in senso stretto). E' questo cerchio di rapporti non privi di tensioni a creare una comunità fiera e consapevole di sfidare poteri e luoghi comuni. Insomma l'America dei grandi principi, il paese dove la democrazia si esprime meglio (???). Chiaramente un'utopia perché nel film la critica alle situazioni democratiche è decisamente violenta e come spesso accade è la disgrazia comune a generare identità e unione. Nella sofferenza ci si unisce, la società moderna consumistica invece tende a dividerci. Anche i rapporti di presunta amicizia fondati sull'aggressività e l'imposizione del proprio ego vanno in default quando la realtà ti travolge come un treno.
- Ma io non sono una checcha non posso aver preso l'AIDS!
Urla uno straordinario McConaughey, a dimostrare quanto l'ignoranza 'attiva' sia uno dei grandi mali del presente. Poi però la reazione, la presa di coscienza e anche se 'all'americana', con tanto di successo e soldi (momentanei certo), la rivincita sia personale che collettiva (commoventi come al solito le didascalie finali). Molti i momenti indimenticabili e solo qualche scorciatoia narrativa per una trama che salta da anno in anno per una decade, però tanta sana e costruttiva rabbia nella condivisione di una grande rivincita dei diversi e rinnegati dal mondo dei 'normali'. E' vero questo è il genere di film che vince premi (clamorosamente giusta la doppietta degli attori agli Oscar) ma se fatto bene, ti fa sentire 'bene', ti fa incazzare e alla fine... forse credi che l'umanità ce la possa fare. Forse...
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