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Dallas Buyers Club

Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film

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La recensione su Dallas Buyers Club

di maurizio73
6 stelle

Storia di Ron Woodroof, elettricista texano con la passione per il rodeo, dalla sua spericolata esistenza fatta di droga,alcol e sesso non protetto alla diagnosi di sieropositività all'HIV che lo porterà a combattere una dura battaglia per la sopravvivenza e contro le potenti lobbies farmaceutiche appoggiate dalla FDA. Tra la scoperta di una cura alternativa in Messico e l'amicizia con un travestito, suo  partner in affari, mette in piedi un esclusivo club di soci (il Dallas Buyers Club del titolo) a cui consente di accedere a cure alternative altrimenti vietate dalla Legge. Sopravviverà per 7 anni a dispetto di una infausta prognosi di soli 30 giorni di vita.
Gli ingredienti per un prevedibile successo di pubblico e di critica (la esemplarità di una 'true story', una sceneggiatura calibrata sui personaggi, l'eclettismo di una recitazione di totale identificazione degli attori) non limitano la validità di un'operazione cinematografica che mette a frutto le risorse economiche e professionali del sistema produttivo hollywoodiano che, delle storie e del giusto risalto dei suoi protagonisti, ha da sempre fatto il suo inconfondibile marchio di fabbrica. Non sfugge a questa logica di 'brain entarteinment' l'exploit mainstream di un semisconosciuto regista canadese che da un lato strizza l'occhio alle dorate statuette della prestiogiosa kermesse americana e dall'altro dimostra con paziente tenacia di saper condurre con buon equilibrio uno sviluppo narrativo che, data la misura eccessiva del metraggio, rischiava di procurare allo spettatore piu' di uno sbadiglio. Conferendo alla storia (tratta da fatti veri) una naturale progressione cronologica, Jean-Marc Vallée riesce a coniugare la trama di una vicenda personale di dissolutezza e di riscatto nella tragica e irridente discesa agli inferi di un 'ultimo buscadero' degli anni '80 (la mortifera cronologia di un 'dead man walking' nel suo viaggio della speranza verso il Mexico: da sempre nell'immaginario americano una terra di libertà e ri-conquista) e dall'altro gli ingredienti di quel cinema di impegno civile quale 'motore' culturale ed alibi predicatorio dell'intellighenzia cinefila a stelle e strisce. Se è vero che alla lunga questi espedienti finiscono per mettera a dura prova la pazienza di un pubblico che ricerca inutilmente novità formali o sostanziali da un cinema che riproduce stancamente se stesso, dall'altro si finisce con l'assecondare una fisiologica identificazione con un personaggio che trasforma la trasgressione caratteriale della sua indole da pulsione autodistruttiva ad irriducibile istinto di sopravvivenza e di lotta anti-sistema nel contesto (attendibile) di una sottocultura omofoba e discriminatoria che attraversa l'America dei falsi miti di progresso liberista decantati dalla politica reaganiana; un ultimo buscadero si diceva, impersonato in modo memorabile da un McConaughey che gioca a fare il De Niro della situazione nello strabiliante trasformismo psico-fisico di cui solo gli attori americani sono veri maestri (il Christian Bale di 'The Fighter ci ha pure vinto un Oscar come miglior attore non protagonista!).Non meno eclettica la performance dell'istrionico 'cantattore' Jared Leto nei panni (a lui molto congeniali) di 'checca dal cuore d'oro' che rinnega,con coraggio e ostinazione, le sue scomode origini alto borghesi quale contraltare sociale di quel mondo di diseredati e di vinti colpiti da un male che il puritanesimo americano presto identifica con l'abominevole colpa della sodomia.  Sebbene non manchino momenti di riuscita resa drammaturgica, resta il senso di un montaggio fuori misura che si trascina nel finale con la solita retorica predicatoria da disputa legale. Un pò di accortezza in post produzione avrebbe sicuramente giovato. Solita valanga di nomination agli Oscar 2014.

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