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The Last Days

Regia di David Pastor, Àlex Pastor vedi scheda film

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La recensione su The Last Days

di scapigliato
8 stelle

Qualche scivolata sul finire, ms siamo sempre difronte a una buona produzione di genere con idee e con ardire. Due dei migliori attori spagnoli di sempre chiudono il cerchio per un film (e un cinema) che batte i pari categoria europei.

Si chiamano hikikomori. Sono quei ragazzi che decidono, per manie ossessivo-compulsive, di isolarsi socialmente, di ritirarsi e confinarsi per lo più nella loro stanza, senza più uscire e lì lasciarsi morire. È una forma di isolamento sociale acuto. Il termine è ovviamente giapponese, dato dal fatto che è in Giappone che si è concentrata inizialmente questa patologia che prevede non solo la reclusione in se stessi, ma anche nella propria abitazione, con la sola compagnia di videogiochi ed internet; scelta causata, così si dice in rete, dall’inaridirsi della società giapponese, sempre più priva di figure famigliari maschili di riferimento, madri iperprotettive e ovviamente quell’insana propensione/pressione della società nipponica per il successo personale e l’autoaffermazione.

In Italia versano in questa situazione circa 30.00 persone, mentre in Giappone sarebbero più di 541.00 gli hikikomori denunciati. Molte famiglie invece tendono a nascondere questo fenomeno; fenomeno in crescita; fenomeno preoccupante perché non esistono cure; fenomeno che ha tra le sue cause scatenanti l’abuso e la dipendenza da internet e dai social media che creano, di fatto, realtà virtuali specchio di un narcisismo egomaniacale molto pericoloso per i più giovani.

Chissà se i fratelli Pastor, Álex e David, barcellonesi, si sono ispirati a questa infelice tendenza sociale per sceneggiare il loro Los últimos días (2013), sci-fi postapocalittico come piace tanto al recente cinema spagnolo – La hora fría (2006), Tres días (2008), El barco (2011-2013) Extinción (2015) e Segundo origen (2015) tra i molti titoli disseminati qua e là a partire anche dagli anni sessanta di La hora incógnita (1963). Il film dei fratelli Pastor racconta di una specie di epidemia fisica e non mentale relazionata con l’agorafobia, ovvero, sempre più persone non riescono ad uscire dalle loro case o dal loro posto di lavoro e vivere all’aperto. Dopo il collasso mondiale – l’origine del virus è americana – molti sono i superstiti che cercano di ricostruirsi una vita nei locali di lavoro, nei sottopassi, nelle gallerie della metropolitana e in case abbandonate e rioccupate. Il cibo e l’acqua comincia a scarseggiare. Non c’è più nessuna legge governativa e nessuna forza militare per gestire la calamità. Tutto è in balia di ogni singolo individuo, come i personaggi di Quim Gutiérrez e José Coronado, due dei migliori attori degli del cinema spagnolo attuale. Il primo, sulle tracce di sua moglie che scopre solo in un secondo momento essere incinta; il secondo, in cerca del padre ricoverato in ospedale dopo una vita di stenti per poter istruire il figlio.

Se la trama non è nulla di nuovo e il finale edulcorato e speranzoso è un po’ troppo telefonato e poco coraggioso, il film ha un ottimo ritmo e moduli narrativi interessanti. Ha buone idee e soprattutto una buona forma di rappresentarle. Inoltre, se contiamo la performance dei due attori protagonisti, possiamo vedere in Los últimos días un ottimo esempio di cinema di genere con contenuti e per di più con intrattenimento. Combinazioni difficili nel panorama cinematografico europeo, di cui gli spagnolo, con buona pace dei detrattori, risulta essere il cinema più vivo e viscerale, più vario e sorprendente, con registi, attori e attrici ben al di sopra della media qualitativa europea. Per non dire dell’interessante tema agorafobico declinato in chiave internauta. Mai sottovalutarlo. Mai abbassare la guardia.

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