Regia di Stephen Dwoskin vedi scheda film
sappiamo perfettamente cosa sia l'età, cosa significhi il passaggio del tempo, degli elementi e appunto dell'età sul nostro corpo. contrappuntato dalla splendida partitura di alexander balanescu, senza la quale credo non avrebbe avuto lo stesso profondo coinvolgimento, dwoskin cerca di mostrarcelo nell'arco di 72 minuti. non ha bisogno della parola, bastano i volti, i corpi rinsecchiti e bisognosi di aiuto esterno, le mani tremolanti. quando all'improvviso la musica cessa, intervengono i rumori dell'ambiente amplificati... una zappa nella terra; passi in un sottobosco; una scatola di metallo appoggiata sul tavolo; una porta che si apre e che si richiude. la parola viene estromessa da questa rappresentazione come se non ce ne fosse bisogno. le labbra si muovono, ma non c'interessa sapere cosa dicono. sono immagini quasi ipnotiche in cui si viene risucchiati lentamente, ma inesorabilmente fino a quando non ci si accorge che il tempo(filmico e reale) è passato. dwoskin che ha lottato per tutta la vita con la poliomelite, non sembra per niente rancoroso nè con la malattia e tanto meno con la vita. le immagini molto belle di un fiume che scorre e non è mai uguale a se stesso o di fronde scosse da un vento di tempesta, raccontano molto poeticamente quei visi ritratti in cui una donna si ripassa con un pennarello le rughe, così come dwoskin afferma senza ma e senza però con la telecamera il tempo trascorso. trascorso crudelmente come sulle statue, i cui secoli o millenni sono rimasti su quei visi finemente scolpiti da mani che non ci sono più, come segnali inconfutabili di un tempo che fu e che è. l'uomo ha diversi modi per sopravvivere al tempo. l'arte, la fotografia amatoriale dell'amata o dell'amato, il ricordo. un film infinitamente affascinante che utilizza sapientemente l'assenza della parola per stimolare la vista e la mente. bello!
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