Regia di Jerzy Stuhr vedi scheda film
La prima scena del film - esterno, tramonto - inquadra un angolo della profonda campagna polacca; e mostra due scalcinati camion che ballonzolando su stradine sconnesse si allontanano: sono i veicoli di un piccolo circo che leva le tende e abbandona (o forse dimentica) sul prato un enorme, maestoso, imperturbabile cammello.
La seconda scena - interno notte - mostra una coppia di mezza età che cena ad un tavolino posto di fronte alla finestra aperta: un bellissimo quadro in bianco e nero dal taglio perfettamente equilibrata, splendidamente illuminata dalla lampada sospesa, con i due coniugi che consumano in silenzio il loro pasto, in armonia e serenità.
I due - Zygmunt e Marysia - nel silenzio della notte, più profondo nella loro villetta fuori del paese, sentono un trapestìo strano che proviene dal giardino: e scoprono con stupore che lì fuori, solenne e sereno, si è piazzato il grande cammello che ha scelto il loro giardino come luogo di sosta e di ristoro.
La placidità dell’animale, a cui pare naturale starsene lì a sbiascicare vicino ai cespugli del giardino di casa, convince i due a tenerselo, come si tiene un cucciolo di cane o di gatto abbandonato.
Il signor Zygmunt Sawicki, ogni giorno, mette la cavezza al suo cammello, attraversa il paese orgoglioso della singolarità della sua compagnia, raccoglie complimenti e battute dei suoi allegri compaesani, e se ne va a spasso su percorsi sempre diversi, in passeggiate tonificanti per lui e per il suo cammello. E come ogni umano fa col suo animale domestico, Zygmunt chiacchiera col cammello che lo segue mansueto e silenzioso, e sembra quasi attento al paesaggio e alle divagazioni placide del compagno bipede (esilarante il discorso che Zygmunt gli fa sulla bellezza della libertà, indicandogli le amenità paesaggistiche e spiegandogli che è un animale libero, non condotto, non costretto, un libero compagno di camminata, non una sua proprietà).
La situazione vira verso l’irreale e il grottesco quando l’amico del cammello diventa bersaglio di infinite richieste da parte dei suoi compaesani e cominciano intrusioni di curiosi, turisti, fotografi e giornalisti. La faccenda si fa surreale quando le micragnose piccole autorità del paese cominciano a pensare a una qualche forma di “regolarizzazione” della presenza dell’animale esotico (tasse di possesso, autorizzazioni, licenze, regolarizzazione sanitaria).
Lentamente montano da parte di tutti, in crescendo, forme di gelosia, invidia intolleranza, ostilità.
Il buon Zygmunt è intenzionato a difendere i propri diritti e, col crescere delle offensive della comunità, si intestardisce fino alla paranoia rivendicando il diritto di decidere liberamente, autonomamente, diversamente.
E qui il film diventa, sommessamente, un’opera di celebrazione della resistenza, un manifesto che difende ogni libertà, ogni scelta, ogni eversione, ogni diversità; e il cammello è la metafora poetica per il diritto all’individualità, contro l’omologazione, la burocrazia, l’intolleranza; una favola delicata che celebra il diritto di essere diversi e lo fa utilizzando una sottilissima ironia che è un’arma molto più potente di ogni proclama retorico e di ogni rabbiosa rivoluzione.
Il film è tratto da una sceneggiatura abbozzata da Kie?lowski nel 1973, quando il regista polacco agli esordi faceva il. documentarista e cercava finanziamenti per realizzare un primo lungometraggio.
Jerzy Stuhr, regista e protagonista, ha lavorato con i maggiori registi polacchi, fra cui Andrzej Wajda, Krzysztof Zanussi e soprattutto Krzysztof Kie?lowski.
Negli anni ’80 ha recitato al Piccolo di Milano e allo Stabile di Genova e ha partecipato ad alcuni film di Moretti (Caro diario e Habemus papam).
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