Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
The Zero Theorem, croce e delizia di quest’edizione del Festival di Venezia 2013. Il tormento nasce dal non voler sparare a zero contro uno dei maestri più visionari che il mondo del cinema ricordi. La delizia, invece, dal ritrova temi, colori e ossessioni che il tempo ha reso ormai familiari.
Ambientato in un futuristico mondo in cui anche le pubblicità sono personalizzate e seguono gli individui passo dopo passo, The Zero Theorem approfitta di uno scenario ipertecnologico per chiedersi e farci chiedere che cosa accadrà nel momento in cui l’universo, così come casualmente è nato, finirà di esistere. A dimostrare la tesi fortemente sostenuta da Management, colui che orwellianamente controlla ogni cosa sulla Terra, dovrebbe essere il fatidico teorema Zero, secondo cui la vita sul nostro pianeta è un errore di calcolo del big band primordiale, una conseguenza degenerata e degenere che un’ipotetica apocalisse spaziale spazzerebbe per sempre via, riducendo il tutto a un gigantesco buco nero.
Il problema della tesi di Management è però la dimostrazione stessa, che dovrebbe avvenire tramite freddi calcoli matematici che non tengono conto delle emozioni umane. A tal fine, sceglie di affidarne la dimostrazione a Qohen Leth, un eccentrico solitario che da una vita è convinto di dover ricevere una misteriosa telefonata capace di cambiargli il corso del destino. Pieno di fisime, isolato dal mondo e impossibilitato a vivere un’esistenza normale, Qohen si divide tra luogo di lavoro e la sua abitazione, ricavata all’interno di una cattedrale ormai abbandonata, dove ben presto accoglierà per la prima volta due presenze – una femminile e una meno prevedibile - che lo scuoteranno dal torpore esistenziale in cui vive.
Procedendo per trovate visive talvolta sorprendenti (il mondo futuristico rappresentato ad esempio in chiave retrò: non sfuggirà la somiglianza del sistema di calcolo del teorema Zero con un vecchio gioco da commodore 64) e per espedienti comici per allentare il climax ascendente della storia (il topolino mangia cibo “classico” o lo scatolo della pizza che urla “gnam gnam”), The Zero Theorem presenta tutte le ossessioni del cinema di Terry Gilliam, fermo purtroppo a un tempo d’oro che fu e non aggiornato ai tempi correnti. Con il sapore della favola moralistica che trasforma le vecchie ossessioni oniriche in realtà virtuali alternative e che si fonda ancora una volta sull’eroe che si riscopre la via della redenzione dopo essere stato colpito attraverso gli unici due legami affettivi che si era creato, The Zero Theorem sembra essere stato concepito per auto-omaggiarsi e auto-citarsi. Imperdibile, però, le ennesime trasformazioni di Christoph Waltz e dell’istrionica Tilda Swinton, difficilmente riconoscibile nei panni di una psicoanalista virtuale.
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