Regia di João César Monteiro vedi scheda film
È sera e un uomo di mezza età avvicina un ragazzo solo sulla banchina del porto, chiedendogli se abbia intenzione di gettarsi. Effettivamente il ragazzo vorrebbe, ma l'uomo lo porta a casa con sè, lo sfama e quindi gli fa conoscere sua figlia, prostituta in uno squallido night club.
Partiamo dal presupposto che parlare di Monteiro non è mai facile. Nonostante la sua rivelazione a livello internazionale risalente oramai a un decennio prima (Silvestre, 1982), un film come L'ultimo tuffo rimane un mistero per pubblico e critica sia nel 1992 in cui esce, che a quasi tre decenni di distanza da quei giorni, per chi scrive. E chissà per quanto altro tempo ancora non solo questo titolo, ma la sua intera opera continuerà a essere 'troppo avanti' per poter essere compresa. Tratto - con ampie licenze, si presume - da un racconto di Friedrich Holderlin, L'ultimo tuffo è un lavoro di un'incostanza quasi irritante nel quale ritmo, azione, personaggi, situazioni, dialoghi subiscono arresti apparentemente immotivati quanto repentini e bruschi, subendo altrettanto drastiche e inspiegabili (inspiegate, anche peggio) virate e ottenendo in definitiva un effetto straniante per lo spettatore che può richiamarsi, con tutti i dovuti e rispettosi limiti del caso, al cinema bunueliano con qualche accento - per il gusto dissacratorio, cinico e iconoclasta a oltranza - di John Waters (la scena della moglie paralizzata che inveisce fuori campo contro l'impassibile marito ne è una palese esemplificazione). Non solo è facile perdere il filo, tentando di seguire L'ultimo tuffo, ma è anche giusto farlo: perchè è esattamente quello che l'autore (regista e sceneggiatore) par di capire che vorrebbe; nonostante inoltre non si tratti di una produzione particolarmente dispendiosa (il cast privo di nomi di grande richiamo e la scelta di inserire lunghe e semplici pianosequenze in un metraggio tutto sommato modesto, neppure un’ora e mezza di durata, lo dimostrano), il mestiere di Monteiro riesce a sopperire a qualsiasi lacuna. A risultare particolarmente dannosa per la visione è la netta divisione a metà del lavoro: dopo una prima parte narrata in maniera sufficientemente comprensibile, la seconda parte del film consta quasi essenzialmente di scene silenziose e non immediatamente richiamabili dal punto di vista logico alla trama. Luis Miguel Cintra presta la voce del narratore esterno, mentre lo stesso regista si ritaglia un cameo, non accreditato, come ama fare: è il guardone che entra in bagno a una festa subito dopo che ne esce la protagonista. Il cinema di Monteiro ha come sempre molto più a che fare con la vita concreta di quanto la sua visionarietà lasci presupporre; qual è infatti la morale di un film come questo, instabile e incerto, difforme e bizzarro, cerebrale e infantile? A conti fatti, la stessa della vita. 6/10.
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