Regia di Nanni Loy vedi scheda film
Realizzato in quella particolare stagione del cinema italiano in cui si rielaborava l’esperienza bellica dopo l’assordante silenzio degli anni cinquanta (qualche titolo: La grande guerra, Il generale Della Rovere, Tutti a casa, La ciociara, La lunga notte del ’43, Un giorno da leoni, Il federale), Le quattro giornate di Napoli è il film più bello ed importante di Nanni Loy. Rapsodico affresco civile consacrato al popolo napoletano, è una straordinaria tragedia popolare che contamina i codici drammatici della sceneggiata (le masse che gesticolano e si strappano i capelli: cito per tutti l’esaltante espressività di Pupella Maggio) con elementi quasi brechtiani (il pezzo di bravura della gigantesca Regina Bianchi), lo stile secco e quasi cronachistico delle parti più storiche (lo spaesamento del capitano di Gian Maria Volontè) e il pathos straziante delle scene madri (il bambino che cade sotto le bombe è Gennarino Capuozzo, a cui il film è dedicato).
Scritto con lucidissima cognizione da causa da un team eterogeneo (accanto a Loy, due scrittori, l’antifascista partenopeo Carlo Bernari e il genuino e malinconico Vasco Pratolini; in più la coppia, allora in gran forma, formata da Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa), è un film in cui ognuno dà il proprio contributo con sincerità e potenza (per dire: la fotografia struggente di Marcello Gatti, la musica accorata di Carlo Rustichelli, il montaggio ritmato di Ruggero Mastroianni) e che appartiene moltissimo anche a Goffredo Lombardo e alla sua migliore ideologia produttiva (cinema popolare d’altissimo profilo d’autore). Recitato in maniera anonima in omaggio alla popolazione, candidato all’Oscar per il film straniero nel 1963 e per la sceneggiatura originale nell’anno successivo (i complicati meccanismi dell’Academy), è un film figlio del suo tempo e autenticamente universale.
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