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Su Re

Regia di Giovanni Columbu vedi scheda film

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La recensione su Su Re

di OGM
8 stelle

Cristo sulla croce è soltanto uomo. Subisce violenza, soffre e muore. Ha sete ed ha paura. È tradito dall’amico, condannato dai sacerdoti. La gente lo insulta, e il Padre lo ha abbandonato. La sua carne sanguina, mentre il mondo si fa di pietra. Nella Sardegna di Giovanni Columbu, sassosa, ombrosa, grigia e primitiva, la Passione è una verità dolorosamente scolpita nella roccia, oltre che crudamente scavata nei volti. Vi accade ciò che è scritto nei Vangeli, ma diventa realtà solo nel momento in cui viene raccontato, commentato, recitato nella lingua del posto. La storia rinasce dal suolo arido di una millenaria terra isolata, e si attacca a quel luogo, per farne la sua nuova patria: un paesaggio lunare abitato da voci anonime, un nulla sperduto nel cosmo, che si trasforma in un nudo scampolo di universalità. Impossibile orientarsi in quel deserto spazio-temporale, dove le piazze sono campi, e le case sono grotte. Un sobria vertigine ci accompagna in un viaggio nel quale il passato di sempre si mescola con il presente di tutti, che continua a voltarsi indietro, per tornare a sondare il mistero. Gli attori sono spettatori che vedono ripetersi, in mezzo a loro, e per mezzo di loro, gli eventi che sono definitivamente certi e noti, eppure tragicamente incomprensibili. Fede è rinnovare ad ogni istante l’eterno stupore, come se fosse la prima volta. È guardarsi da fuori, nelle vesti di Giuda, di Caifa, di Pietro, per scoprirsi deboli e fallibili, e tuttavia protagonisti assoluti di un grandioso destino. Gli interpreti sono persone qualsiasi, e potrebbero davvero essere chiunque, perché nessuno è escluso dalla partecipazione all’Assurdo, al sacrificio di Dio per mano dell’uomo. Ognuno di noi è inchiodato al suo ruolo, che pure gli è stato assegnato dal caso. Un costume e una battuta possono, in un attimo, (ri)definirci, mentre rimaniamo rigidi e inerti nella posizione prevista dal copione. Siamo come siamo stati voluti, soggetti al preciso disegno di una regia superiore. Poco importa se la parte ci si addice, se abbiamo le sembianze adatte e ci esprimiamo con la giusta intonazione. Qualcuno ha deciso per noi, e questo basta a renderci veri. Persino nel quadro di una vicenda illogica e spaventosa. Non immedesimarsi nel personaggio, non volerci restare, avere voglia di fuggire, è un risvolto del gioco, perfettamente messo in conto, e forse ne è addirittura l’aspetto più importante: è il dramma di sentirsi sbagliati ed impotenti, di fronte ad una Speranza che continua a venirci incontro ma che finiamo, inesorabilmente, per uccidere senza pietà. 

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