Trama
A partire dall'Ultima Cena, la vita di Gesù Cristo e la Passione vengono raccontate prendendo spunto dai Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, usando però soprattutto i passi del Nuovo Testamento in cui gli episodi sono raccontati in maniera difforme e con diversi punti di vista. Gli episodi sono recitati in lingua sarda da attori non professionisti e con i luoghi delle vicende trasposti in Sardegna.
Approfondimento
SU RE: LA PASSIONE DI CRISTO IN SARDEGNA
Nato a Nuoro e laureato in architettura, Giovanni Columbu con Su Re torna alla regia di un lungometraggio 11 anni dopo il debutto con Arcipelaghi, film che ha vinto diversi premi per la sceneggiatura. Su Re traspone in Sardegna la passione di Cristo e racconta gli episodi del Vangelo ambientandoli nel loro tempo, nei loro paesi e con i loro costumi senza mai mostrare la Palestina. A spiegare la genesi e la realizzazione del progetto è lo stesso regista, attraverso le note di regia fornite in occasione della partecipazione di Su Re in concorso al Torino Film Festival 2012: «L’idea di questo film risale a diversi anni fa. Mi trovavo a Roma, nella chiesa di Santa Maria in via Lata, e fui colpito da una tavola che riportava su quattro colonne i brani dei Vangeli che descrivono i patimenti inflitti a Gesù. Quelle descrizioni mi fecero pensare a diversi testimoni che avessero visto e poi raccontato lo stesso fatto in base alla propria percezione. Lo stile impersonale dei singoli testi sembrava trasformarsi, rinviare ai raccontatori e rivelare il tono incerto ma ancora più verosimile di un ricordo.
Provai nei giorni successivi a leggere il Vangelo trasversalmente, passando da un testo all’altro, e scoprii che il racconto assumeva un’imprevista forza drammatica.
Come mai in precedenza avvertii il dolore della tragedia che si narrava e la sofferta esperienza di tutte le umane vicissitudini. Fu allora che pensai a un film sul Vangelo, in cui le scene si ripetessero, quasi come nel Rashômon (1950) di Kurosawa. Avrei trasposto la storia in Sardegna, perché è il mondo che amo e che meglio conosco, permeato di valori che in certi casi sembrano rifarsi all’Antico piuttosto che al Nuovo Testamento. Due universi molto distanti nello spazio e nel tempo si sarebbero incontrati, senza stupirsi l’uno dell’altro, trovando riscontro nella realtà di quel sogno che è nell’animo di molti, scoprire Gesù, qui, tra noi.
Nel corso della realizzazione, confrontando il progetto con gli esiti che man mano emergevano, l’idea dei “passi paralleli” riferiti ai singoli evangelisti ha lasciato il posto a un’idea forse meno ambiziosa ma altrettanto affascinante, quella di un sogno, in cui gli accadimenti si ripropongono nella loro perdurante drammaticità e in una sequenza non lineare. Proprio come nell’esperienza del ricordare rituale e collettivo che è la messa cristiana. Ha invece preso risalto l’idea della trasposizione in Sardegna: un’idea che ha un precedente nella pittura più che nel cinema. Modificando le coordinate geografiche e storiche dei fatti accaduti, le vicende originali tornano a vivere in una luce nuova e si arricchiscono di nuovi possibili significati.
Giuda, interpretato dal giovane Antonio Forma, è forse prossimo all’”eroe che si sacrifica con infamia”. Pilato, interpretato da Paolo Pillonca, appare condannato al confronto con la parte rimossa di sé, quella emotiva e femminile, rappresentata dalla moglie, la donna che nel Vangelo di Matteo, dopo avere sofferto in sogno, gli manda a dire: “non avere a che fare con quel giusto”. Maria, interpretata da Pietrina Menneas, è madre mediterranea, dolorosa e piangente ma anche orgogliosa e forte, interprete di un inesorabile principio di giustizia. Di fronte a Pilato e al popolo che chiede la morte di Gesù, Maria afferma l’innocenza del figlio e implicitamente enuncia la condanna dei suoi aguzzini.
L’immagine di Gesù differisce dall’iconografia pittorica e cinematografica. Corrisponde all'unica descrizione che precede i Vangeli, quella contenuta nella profezia di Isaia "...non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere".
L’interprete, Fiorenzo Mattu, è dunque “non bello” o dotato di un’altra bellezza. La sua immagine rimanda alla dimensione interiore visibile solo ai “puri di cuore” a cui, come è detto nel Discorso della Montagna, è riservato il privilegio di vedere Dio.
Lo stesso interprete, nei primi giorni di ripresa era stato scelto per fare Giuda. Poi, è diventato Gesù, mentre Gesù, prima interpretato da Giovanni Frau, è diventato l’apostolo Giovanni.
Dopo anni di lavoro alla sceneggiatura, al momento delle riprese, la sceneggiatura era dimenticata, o ridotta a una serie di appunti. Sul set ci limitavamo a leggere un passo del Vangelo, davo delle istruzioni e procedevamo con la messa in scena. Nessuna prova, per non perdere la freschezza, ma diverse ripetizioni anche a distanza di tempo. A volte, mentre le macchine da presa stavano già girando, introducevo un cambio delle battute o uno sviluppo delle azioni, per costringere gli attori a improvvisare e interagire. Oppure, per fare crescere la tensione, senza preavviso, domandavo cose che sapevo essere più o meno impossibili, come proseguire la recitazione senza usare parole. E le emozioni dovevano crescere, anche per l’impossibilità di parlare, e se possibile diventare incontenibili, ma non si dovevano mai mostrare. E gli operatori dovevano riprendere tutto, come di fronte a un accadimento reale e inaspettato, con uno stile che in certi casi somigliava necessariamente a quello del documentario.
La cosa importante era sfuggire alla preordinazione della messa in scena e agli effetti condizionanti di un immaginario frutto di innumerevoli precedenti rappresentazioni. E accendere gli animi, generare subbuglio, suscitare il pianto, tornare a scoprire e fare rivivere i fatti che potevano avere ispirato quelle parole essenziali e apparentemente distaccate del Vangelo.
In questa ricerca, una soluzione che si è rivelata utile per quanto riguarda il modo di effettuare le riprese è stata l’introduzione di una seconda unità di ripresa indipendente dalla regia e affidata a un grande fotografo, Uliano Lucas, al quale diedi il mandato preciso di fare quel che voleva e di non dirmelo anticipatamente. Il risultato meraviglioso è stato allontanare il punto di ripresa dalla prima macchina e da me, ovvero dal fronte a cui era inevitabilmente rivolta la costruzione della scena. E rendere possibile l’osservazione della stessa scena dall’esterno, da punti di vista laterali, scomodi e non già concepiti in funzione di quello che sarebbe accaduto. Punti di vista che soprattutto io, il regista, dovevo ignorare. Perché era chiaro che in quella ricerca di verità anche e forse soprattutto le intenzioni e le attese del regista potevano essere di ostacolo.
Gli interpreti sono tutti non professionisti, estranei ai codici del cinema, del teatro e generalmente anche della liturgia religiosa, ma tutti dotati di una straordinaria predisposizione a recitare. Si avvalgono forse di un’altra scuola, quella impropria del racconto orale e dell’improvvisazione canora, molto diffusa in Sardegna.
Come i personaggi del Vangelo, provengono da zone diverse, di mare e di terra, e parlano diversi dialetti. In loro c’è anche una speciale indifferenza ai mezzi di ripresa che ho sempre ammirato. Ma l’esperienza più nuova e più stimolante in questo film è avere coinvolto gli interpreti provenienti da alcuni centri di salute mentale. Di questi interpreti mi ha molto colpito il modo di partecipare a un accadimento. Assistono rivolgendo lo sguardo altrove o con gli occhi bassi o come rivolti dentro se stessi, quasi che quell’accadimento lo stessero vivendo interiormente.
Oltre ai 400 costumi preparati per il film in collaborazione col teatro Lirico di Cagliari hanno un rilievo fondamentale i costumi e gli abbigliamenti rintracciati sul campo.
Gli stessi interpreti infatti concorrono alla messa in scena come per dare vita a uno psicodramma, vestiti spesso con i loro indumenti dismessi e con i loro costumi più antichi che si affiancano surrealisticamente alle armature romane.
In una ambientazione atemporale, ma che precede l'industrializzazione e la luce elettrica, convivono abbigliamenti tanto diversi e suggestivi da far apparire la Sardegna come un universo fantastico anche sotto il profilo del costume. Gli abbigliamenti maschili più primitivi, con mantelli neri di lana o pelli fino ai piedi, richiamano i bronzetti nuragici; quelli più moderni sono di velluto e con gambali, le donne hanno camicie e gonne plissettate come si usano ancora.
Le difficoltà maggiori le abbiamo avute nel reperire le risorse finanziarie. Dopo una quantità di risposte negative e un micidiale periodo di stallo, decisi di reagire e feci una conferenza stampa in una chiesa, a Cagliari, dove lanciai una sottoscrizione pubblica.
Un’iniziativa così azzardata che a posteriori non la consiglierei a nessuno.
Quell’iniziativa che non so se si dovesse definire disperata o animata da una fiducia tanto irriducibile quanto irrazionale, mi ha permesso di mantenere vivo il progetto e per circa un anno incontrare tantissime persone. Raccontavo il film e mi ascoltavano affascinati, anche i preti, come se raccontassi una storia mai sentita. Non potendo fare un film lo raccontavo. Gli incontri duravano novanta minuti, come un film. Avevo creato un nuovo genere di spettacolo. Fu allora che cominciarono ad arrivare gli aiuti di una certa consistenza, prima da qualche comune e dalle Province, poi dalla Regione sarda.
Chi mi ha dato fiducia fin dall’inizio, oltre ad alcuni amici, sono stati Don Mario Cugusi, parroco nella chiesa del mio quartiere di Cagliari, e Don Antonio Pinna, consulente esegetico e vicepreside della Facoltà Teologica, da cui ho dovuto difendermi tanto erano liberi certi suggerimenti. Poi Nanni Moretti, che dopo avermi interrogato in catechismo (materia in cui mi scoprii poco preparato) vide le prime sequenze e di lì a poco confermò la distribuzione della Sacher. A lui devo anche molti aiuti ricevuti soprattutto nella fase di post produzione».
Note
Su Re è come un Rashomon pasoliniano: inceppa la traccia del tempo, narra e rinarra i medesimi eventi, ripete, varia, remixa. Così facendo sottrae il racconto evangelico all’automatismo, lo ripensa sulla pelle e nella terra, ne fa un’esperienza di attualizzazione sensoriale. E di condivisione, nell’asperità lancinante dei suoni, nella matericità odorante di immagini pittoriche, rudi, primitive, bellissime.
Trailer
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Commenti (3) vedi tutti
SU RE si vive come una rappresentazione teatrale, nel quale si è invitati a partecipare
leggi la recensione completa di zombiIn sardegna andateci per il mare, la Barbagia ed il suo territorio splendido. Film insulso di cui, francamente, ce ne possiamo davvero infischiare. Fa il paio con quello di Gibson che l'unico 'vantaggio' di essere arrivato prima. Voto 2 meno meno
commento di BradyFilm a carattere Religioso ordinatamente svolto dagli Attori ... poi il resto lo si conosce ! voto.4.
commento di chribio1