Regia di Richard C. Sarafian vedi scheda film
Il film di Sarafian, molto sopravvalutato all'epoca della sua uscita, è un buon film sulla fine dell'epopea hippy, da più parti paragonato sia a "Easy Rider" che a "Zabriskie Point". Dei due caposaldi della cinematografia tra i sessanta e i settanta ha il tema del viaggio come simbolo di libertà e di ribellione e un finale pessimistico che qui sfiora il nichilismo. Secondo me, però, se "Easy Rider" è "Easy Rider" e "Punto zero" è "Punto zero", una ragione c'è. E se la regia, nonostante Sarafian si sia più volte lamentato di aver dovuto tagliare parti importanti del girato originale, è valida e si avvale di una notevolissima fotografia che sa carpire il meglio della luce abbacinante del deserto della Dath Valley, e se Barry Newman (che mi ricordavo protagonista della serie televisiva "Petrocelli") è bravo nell'impersonare questo Kowalski senza nome e senza un passato decifrabile, la sceneggiatura lascia diverse perplessità (sempre fatti salvi gli eventuali tagli perpetrati in sala montaggio), primo fra tutti l'espediente del DJ Superanima, che suona poco credibile e datatissimo a più di trent'anni di distanza. L'interprete di quest'ultimo personaggio, il mitico Cleavon Little indimenticabile sceriffo nero di "Mezzogiorno e mezzo di fuoco" («Buongiorno signora, non trova che sia una bellissima giornata?» «Vaffanculo negro!»), dà al film una connotazione razziale - la polizia che irrompe nella stazione radio e picchia i due speaker - ma non lascia gran traccia di sé.
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