Regia di Duane Journey vedi scheda film
Il problema del genere horror di questi ultimi dieci anni è la deriva castrata e patinata, puritana e moralizzante di moltissimi film. Caso a parte è stato il torture-porn che ora sopravvive in sporadiche pellicole e che faceva dell’esibizione dell’eccesso la sua cifra estetica, poi spentasi col tempo causa abitudine e assuefazione. Lo slasher contemporaneo invece, inseguendo il puro product placement, piazzava e piazza tutt’ora film visti e rivisti che utilizzano il coté horror solo come pretesto iconografico e narrativo, perdendone il carattere perturbante e politico, inoltre sedano l’immaginario collettivo e di conseguenza denaturalizzano lo scopo psicologico del cinema del terrore. Hansel e Gretel e la Strega della Foresta Nera è invece una felice eccezione.
Il titolo originario, Hansel & Gretel Get Baked, che suonerebbe un po’ come Hansel e Gretel Fatti Arrosto, il cui “fatti” gioca sul leitmotiv dell’intero film, ovvero la stonatura da cannabis, è già codice interpretativo della vicenda in cui il grottesco e lo humor nero la fanno da padroni. Inoltre, il piacere del film diretto da Duane Journey è la distanza con qualsiasi altro prodotto di genere. Oggi, oltre i cinecomics abbiamo i fairy tales movies che riadattano celebri fiabe del passato ai giorni nostri o in altre epoche prediligendo il taglio horror. È successo con Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola, La Bella e la Bestia e con i nostri Hansel e Gretel. Il risultato di questa nuova tendenza è sicuramente interessante, ma altalenante, per lo più medio basso. Il film di Journey, invece, nonostante venga presentato dagli stessi produttori dell’anti-horror per eccellenza che è la Twilight Saga, è un caso a parte.
Felicemente sboccato, molto splatter e granguignolesco, cattivista e in preda al delirio del caos narrativo dove si accumulano svolte narrative sempre diverse, improbabili come prevedibili, ma pur sempre goliardiche e intonate alla vicenda, Hansel e Gretel Fatti Arrosto ripercorre la celebre fiaba popolare con sagge intuizioni e giocando con un immaginario vincente. Dapprima il linguaggio lascivo della vecchia strega che con Andrew James Allen parla del suo pene e di rapporti orali mentre è legato al tavolo da cucina in boxer pronto ad essere cucinato. In seguito quel finto pisello di plastica che sbuca fuori dal tritacarne – pisello dalle dimensioni un po’ troppe generose per Allen – e le lesbicate senza freni tra la ringiovanita strega della foresta nera e la giovane e prosperosa Bianca Saad, autentica scream girl con notevole dotazione polmonare mai nascosta. Per non parlare dei divertissement seminati qua e là: dialoghi bellissimi, zombificazioni grottesche, allusioni sessuali continue e un certo effetto di straniamento che aiuta a percepire il film come qualcosa di diverso. Sicuramente uno slasher movie in linea coi tempi, forse un po’ instant, ma credo godibile anche in là nel tempo.
Della vecchia fiaba trascritta dai Grimm a fine ottocento restano alcuni aspetti e certi motivi, come la casetta di marzapane che non va assolutamente mangiata, e che da il là alla mattanza, piuttosto che le caramelline sparse sul sentiero della foresta nera, che non è altro che il vivaio magico in cui la strega fa cresce la sua buonissima marijuana e ovviamente la morte finale della strega bruciata viva nel forno. Per il resto molti elementi della fiaba originale sono clamorosamente assenti. La figura dei genitori per esempio, fondamentale nel racconto dei Grimm, qui è totalmente assente. Assente è anche la foresta nera in sé, simboleggiata poi nel campo di marijuana sotto casa, una casa tra l’altro che è perfettamente ubicata in paese e non nell’intrico di un bosco. Inoltre, se nella fiaba originale i due fratelli, di cui il maschio era il carattere più forte e tenace, mentre la sorella lo diventava nel tempo, erano loro gli unici protagonisti a cadere poi nella trappola della strega, qui, per ovvie ragioni narrative, sono altri i personaggi che cadono sotto le grinfie della megera, primo tra tutti Andrew James Allen che è un piacere vederlo sezionare e massacrare – attore irritante, fa la fine che merita per nemesi cinematografica.
Il Bettelheim di Il Mondo Incantato non vi ritroverebbe più nel film di Journey tutti i sottotesti che aveva spiegato nel suo celebre libro, anche se qui viene preservata la fissazione orale come partenza dei mali del bambino che deve ancora crescere e staccarsi da questa fissazione per trovare il suo posto nel mondo. Difatti, non solo fumare una canna è un’azione orale, non di suzione ma di aspirazione, ma sono orali gli oggetti di discussione sessuale di cui il film certo non è parco: fellatio, baci lesbici, continui riferimenti al membro maschile. Al contrario, il corpo femminile, se escludiamo i notevoli polmoni della Saad, è regolarmente castrato. Gretel è fin troppo vestita, mentre gli unici shirtless time sono appannaggio del corpo maschile, perfetto per il macello. Sia Andrew James Allen che Michael Welch, insipido e inutile Hansel, hanno il culmine della loro performance in mutande.
Questa ossessione per l’esibizione del nudo e perfetto corpo maschile, ambiguo e seduttivo, che attraversa oggi il cinema tutto, soprattutto l’horror, a scapito delle classiche “poppe in movimento” delle scream girls o delle immancabili scene di sesso etero per le quali poi si muore – ricordate le regole dello slasher? – è un’ossessione curiosa e interessante che ci dice subito che i gusti sono cambiati, o forse soltanto riemersi in superficie, ma che sicuramente conferma, oggi più che mai, l’interesse politico e sociale del cinema horror verso il corpo, inteso questo sia come involucro di carne atto alla mattanza, sia come simbolo del benessere e della perfezione sociale. I corpi smembrati e maciullati di belle ragazze e soprattutto di bei ragazzi giovani, che sono fallici perché l’uomo è il potere, sono la continua interrogazione e la regolare risposta al rovello moderno sugli studi di genere che coinvolgono il corpo in tutte le sue accezioni, vera ossessione della modernità.
Un plauso a parte va fatto a Lara Flynn Boyle che smessi i maglioni anni ’90 di Twink Peaks (1990-1991) è oggi una donna adulta che fa della sua decadente bellezza un fascino perverso. Anche produttrice del film, la Boyle si costruisce un personaggio bellissimo, mai banale, sfatto e disfatto che si mangia letteralmente qualsiasi altro personaggio, soprattutto quelli femminili. La sua strega è forse il link migliore tra il film di Journey e la fiaba dei Grimm: materna e cannibalica senza soluzioni di continuità, in un amalgama di ambiguità seduttive che danno al film una spezia in più con cui gustarcelo. Non si capisce perché Cary Elwes appaia prima della Boyle nei titoli di testa quando fa giusto poco più che una comparsata. Ma poco importa, è lei la regina della pellicola, senza se e senza ma. Una vera coguar che fa scempio della giovinezza altrui, edonisticamente, per riacquistare la propria. E il cerchio sull’ossessione del corpo, si chiude.
Con Hansel & Gretel Get Baked lo slasher fa un passo avanti e tra sciagurati action movie che saccheggiano l’horror solo per questioni di botteghino – come Van Helsing (2004), Underworld (2003) e Resident Evil (2002) da cui ha inizio la tendenza action-horror – o remake inutili e non graditi di capolavori del passato – Halloween (2007), The Fog (2005) e Nightmare (2010) – per non parlare delle ghost stories tutte uguali e sterilizzate con bambini morti, case infestate ed esorcismi vari, il film di Duane Journey si distingue notevolmente e fa fare una gran bella figura allo slasher, di cui avevamo bisogno.
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