Regia di Patrice Leconte vedi scheda film
Patrice Leconte adatta per il grande schermo il romanzo Viaggio al passato di Stefan Zweig e sembra portare a termine il compito affidatogli. Melodramma sentimentale ambientato nei primi anni del Novecento, A promise racconta dell’amore più platonico che fisico tra un giovane ingegnere e la giovane moglie del suo ricco datore di lavoro.
Il loro è un sentimento fatto di sguardi, di parole, di momenti condivisi e di attrazione quasi istintiva, che non poggia su nessun congiungimento carnale. Nessuno dei due ha il coraggio di tradire la fiducia di un marito anziano che ha riposto in loro tutte le sue più grandi aspettative, marito che invece si scoprirà più avanti essere l’artefice del destino di un amore tanto agognato quanto reso avverso dagli eventi della grande Storia.
Catapultandoci in una dimensione fuori dal tempo e immersa nelle atmosfere da melodramma amoroso della Mitteleuropa pre-prima guerra mondiale, A promise fa dell’intensità e della sensualità velata i suoi cavalli di battaglia: è infatti un’opera che si costruisce su non detti, su tocchi impercettibili, su baci troncati sul nascere e sull’idea di attesa. L’attesa dei due protagonisti, infinita ed invariata, sembra dimostrare quanto non sia importante l’attimo in sé ma la brama di vivere quell’istante in cui le parole, prima dette e poi scritte, prenderanno forma e si trasformeranno in gesti concreti.
Interpretato da un Alan Rickman da sempre garanzia di credibilità, da una Rebecca Hall leggermente fuori parte e da un Richard Madden alla sua prima importante prova cinematografica, A Promise ha un solo grande difetto: nonostante le promesse, limita le emozioni e la ingabbia in un continuo gioco di virtuosismi verbali e fotografici. Con ogni dettaglio della scenografia curato quasi maniacalmente e una direzione della fotografia che riesce con poco a restituire colori e luci di un’epoca caratterizzata da molte ombre, A promise risulta spesso artefatto e stantio, nonostante abbia il pregio di ridare importanza al valore della corrispondenza cartacea e al suo ruolo narrativo di “mezzo” per unire ed avvicinare il soggetto all’oggetto dei suoi desideri.
In un’epoca di e-mail, sms e tweet, riscoprire l’importanza di carta e penna e di relazioni non consumate come nei fast food ha sempre un certo malinconico fascino, al di là della leziosità di certi passaggi della sceneggiatura firmata dallo stesso Leconte in coppia con Jerome Tonnerre.
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