Regia di Arnaud Desplechin vedi scheda film
Ispirato al libro dell'etnologo Georges Devereux Psychothérapie d'un Indien des Plaines pubblicato nel 1951 (un mix di antropologia e psicoanalisi che ha aperto la strada all'etnopsichiatria) il film di Arnaud Desplechin in trasferta oltre oceano, è incentrato su una relazione terapeutica dagli esiti davvero imprevedibili, per lo meno per come sono esposte le cose all'inizio (ma poichè la fonte sembra che sia una storia vera, ci dobbiamo credere e prenderli per buoni).
Viene infatti raccontato il caso di un nativo dell'etnia dei Piedi Neri che torna a casa dopo aver combattuto al fronte (siamo nel 1948, e i "disastri" psicologici sono quelli causati dalla seconda guerra mondiale) con la testa non più totalmente a posto.
L'ex soldato, diventa così un "malato" da rieducare alla ragione che viene affidato alle cure di un "terapeuta" ebreo (ungherese d'origine) scampato alle persecuzioni naziste anarcoide e stravagante, ma anche profondo conoscitore degli indiani d'America e che forse anche per i suoi trascorsi, finisce per provare una sincera simpatia per il suo paziente, scevra da ogni senso di superiorità raziale, diventandone alla fine una specie di spirito guida.
La "rieducazione" e il "risultato", insomma: la storia è tutta qui ed è davvero poca cosa, soprattutto per come è stata organizzata e filmata dal regista.
A mio avviso, si salva solo il magnifico duetto degli attori che sono Benicio del Toro (davvero stratosferico) e Mathieu Amalric... ma a parte loro (per dirla con il compianto Califano) tutto il resto... è noia... sì, proprio NOIA, e non mi so proprio spiegare le ragioni per le quali un'opera così mediocre abbia potuto trovare ospitalità in concorso all'ultimo Festival di Cannes.
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