Regia di Eric Rochant vedi scheda film
Nel nastro di Möbius, alla fine del giro, gli opposti combaciano, e diventano di fatto indistinguibili. Le due facce coincidono, e non c’è più modo di dividerle. È il prodigio che da sempre si attribuisce romanticamente all’amore, ma che anche le fredde logiche dei grandi interessi economici possono, inaspettatamente, mettere in atto. Due agenti segreti, un uomo e una donna, si trovano, loro malgrado, a servire contemporaneamente la CIA e ciò che resta del KGB. E si scoprono complementari anche sul piano dei sentimenti. Alice e Maurice si uniscono sul filo di una clandestina ambiguità, che negli intenti iniziali aveva solo squallidi scopi politici, ma che finisce per ammantarsi di un profondo fascino, ugualmente intriso di tenerezza e trasgressione. La loro relazione realizza uno splendido paradosso: è casuale e voluta, proibita eppure inevitabile, maledetta ma apportatrice di salvezza. È come il pensiero che passa all’azione mordendosi la coda, dimenticando i propri propositi, venendo meno agli impegni, ma chiudendo complessivamente il cerchio dell’umana necessità. Nasce così una spy story il cui sviluppo è tanto involuto quanto fluido e consequenziale, come un cammino percorso lungo la famosa figura geometrica ad anello, durante il quale ci si trova, improvvisamente, a testa in giù, con i piedi che poggiano sull’altro lato del pavimento. Il mondo si rovescia con un movimento lento e progressivo, ma senza compiere alcuna acrobazia. La contraddizione non ha bisogno di brusche giravolte. Può essere il naturale prodotto di una semplice concatenazione di cause ed effetti, di gesti impulsivi che accompagnano mosse meditate, di cui subito divengono le ombre inseparabili. La continuità sussiste anche tra la luce e il buio. Il loro punto di congiunzione si colloca nell’ignoto luogo dell’anima in cui dovere, potere e volontà sono una cosa sola. Far finta di essere un altro. Sottrarre informazioni al nemico. Abbandonarsi all’amore. La missione e la passione richiedono, in fondo, lo stesso tipo di sotterfugi. Il traguardo comune è far breccia in un mondo estraneo senza scoprirsi troppo, per conservare il giusto margine di mistero, e per ricevere il più possibile, evitando di dare via tutto ciò che si ha. La menzogna e la reticenza servono a rinviare all’infinito il momento della rivelazione, conservando vivo il reciproco interesse. Ci si continua a cercare solo fintanto che non ci si è trovati. E l’incontro finale può essere eterno solo se, nell’attimo del ricongiungimento, un pezzo del quadro si perde per sempre. Solo l’oblio può perpetuare quel senso di incompletezza che mantiene viva la voglia di stare insieme, per esplorarsi a vicenda, per conoscersi meglio ogni giorno che passa. E per credere, ogni volta, di trovarsi all’inizio, così da non vedere mai arrivare la fine.
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