Regia di Fabien Constant vedi scheda film
«Tutte le persone che le stanno intorno, lei le tratta allo stesso modo: con rispetto e amore. Fa sentire tutti più speciali e importanti, e in cambio gli altri farebbero qualunque cosa per lei». Tutto l’opposto della Miranda di Il diavolo veste Prada (e dunque di Anna Wintour, cui il personaggio si ispirava), questa Carine Roitfeld, almeno nelle parole adoranti della sua assistente, sul finale di Mademoiselle C. Ai fashion addict il nome suonerà semidivino: ex modella e fotografa, musa di Tom Ford e di altri grandi firme, giornalista per le più importanti testate di settore, direttrice di “Vogue Paris” per dieci anni. Nel 2010, cinquantaseienne, dà le dimissioni per ricominciare da capo e fondare una rivista tutta sua (ma il film non cita le insistenti polemiche montate in seguito a un contestato servizio fotografico con protagoniste alcune bambine in atteggiamenti ammiccanti). Fabien Constant - un considerevole curriculum nel documentario di moda - la segue nella nuova avventura, immerge lo spettatore in un susseguirsi di attività lontanissime dall’uomo comune, ma affrontate dai personaggi con la serenità della routine quotidiana, impressiona quest’universo dorato e alieno con le stesse luci patinate delle copertine dei periodici più glamour. È tutto bellissimo da vedere e vagamente nauseante da ascoltare, affogato com’è nel chiacchiericcio frivolo e altisonante, gonfio di gergo specialistico. Le possibili crepe nel ritratto sono ricacciate ai margini, ma, in fondo, a chi interessano davvero?
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