Regia di Amma Asante vedi scheda film
Un'immagine a lato. Trascurabile. Accettabile. Elemento neutro di raccordo tra l'esigenza di contestualizzare e lo sfizio - "aristocraticamente" compiaciuto - di fregiare con motivi "esotici" il soggetto principale.
Ma, cosa accadrebbe se l'esotica figura di contorno non fosse ciò che sembra - cioè una dama di compagnia di una bionda nobile fanciulla, e serva e nera (o meglio: "negra" come si usava ai tempi) - ed invece (si) rivelasse un soggetto eccezionale da raccontare?
Una storia dietro a un dipinto - ancora -; un dipinto che nasconde(va) una storia (vera).
Quella di Dido Elizabeth Belle. Nata schiava, di "sangue misto", riconosciuta figlia dal padre, sir e ufficiale della marina inglese nonché gentiluomo, e cresciuta nella famiglia dello zio William Murray, primo giudice della corte suprema, accanto alla cugina Elizabeth Murray.
Dal ritratto che le raffigura insieme, in una posa che a ben guardare (ovverosia a guardare senza filtri di sorta) ne mette in luce una divertita, anomala complicità, l'analisi si sposta dalla semplice, magari annoiata, curiosità a rilievi di maggior entità - storica, sociale e sociologica, politica.
Questione di posizione/i. Un problema di posizione; e di posizionamento: dove e come collocare questa (meravigliosa) creatura "mulatta"?
Il film, nel narrare origini e vita di Belle, sta tutto qui: inquadrare quella zona confusa e limacciosa, dai labili mutevoli confini, che si "muove" - spesso "misteriosamente" - tra ciò che è consentito e ciò che è giusto, tra quello che le regole formali impongono e quello che le leggi del cuore ispirano, tra rassegnate prese d'atto (Elizabeth alla cugina: «siamo una proprietà degli uomini») e decisioni che oltrepassano consuetudini e obblighi sociali (come accettare di diventare consorte di un uomo di grado inferiore). Ed infine, tra le rigidissime, "naturali" resistenze autoconservative («buon Dio, è proprio una negra!») e spinte moderniste (la sentenza, rivoluzionaria, sul massacro di Zong, emessa da William Murray, sul ruolo e sulle responsabilità dei mercanti di schiavi, e il riconoscimento dei diritti di questi ultimi).
Perennemente fuori posto (ha un rango troppo elevato per sedere con la servitù ma troppo basso per pranzare con la famiglia se ci sono ospiti) Belle, che fissa di continuo un quadro in cui due neri occupano il solito "normale" posto, è - suo malgrado - emblema e crocevia di istanze e conflittualità nell'alta società britannica di fine diciottesimo secolo.
Schiavitù, razzismo, ruolo delle donne nel mondo degli uomini (e non a caso, la regista Amma Asante, rivendica coerentemente e fieramente essenze austeniane): il dipinto svela la sua natura.
Tutto bene, dunque; e buone intenzioni, senz'altro. Peccato che l'opera non devii sostanzialmente mai dalla sua comoda, pennellata p(r)osa convenzionale, ed intinga le suddette tematiche in una perfetta standardizzata ricostruzione d'epoca, impeccabile ed impeccabilmente studiata, didascalica, con punte di leziosità e sfumature da fiction.
E non avendo altresì l'ardire (o forse, le virtù) di scavare più a fondo (a partire dal rapporto tra Belle ed Elizabeth), di gettare schizzi - in termini di messa in scena, di direzione del cast (interpreti "sicuri", con qualche spreco, vedasi Matthew Goode e Sarah Gadon), di imporre un taglio più deciso e meno laccato - che possano incidere significativamente sulla (bellezza della) tela.
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