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Anija (La nave)

Regia di Roland Sejko vedi scheda film

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La recensione su Anija (La nave)

di Baliverna
7 stelle

Dopo 45 anni di prigione a cielo aperto, molti albanesi scapparono verso l'Italia in cerca di un futuro migliore. Parlottavano già l'italiano, imparato guardando di nascosto la nostra televisione negli anni della dittatura.

E' un documentario costituito da immagini di repertorio - della TV italiana e albanese - e da interviste di oggi svolte apposta dal regista ad alcuni protagonisti dei convulsi eventi dell'esodo degli albanesi. Risalgono principalmente al 1991, quando cadde la dittatura comunista, e al 1997, quando vi fu il triste caso delle finanziarie pirata. C'è anche qualche spezzone della TV albanese degli anni '70.
Nel 1991, infatti, quasi come avvenne per il muro di Berlino, migliaia di persone si riversarono nel porto di Durazzo nella speranza di scappare dal paese. Le autorità non presidiavano più l'ingresso dello scalo e molti saltarono sulle navi mercantili che per caso si trovavano sul posto, le quali a loro volta decisero di portare i poveretti a Brindisi. E' interessante osservare che non si trattò di una fuga organizzata, ma, almeno per quanto riguarda le primissime navi, di un evento assolutamente improvvisato. Il desiderio di fuggire da un paese allo sfascio era così forte, che su quelle navi saltarono uomini, donne e bambini a volte da soli, e sempre senza bagagli. Una delle intervistate si era imbattuta nell'assalto alla nave mentre stava rincasando con le borse della spesa, e vi saltò sopra anche lei così com'era. Solo in un secondo momento, il governo iniziò a rilasciare i primi passaporti, documenti allora sconosciuti agli albanesi.
Nel 1997, poi, vi fu il secondo esodo. Una serie di società finanziarie, con la complicità di politici corrotti, indusse un gran numero di persone ad investire i propri risparmi in vista di mirabolanti guadagni. Moltissimi vi portarono tutti i loro soldi, e una parte di loro aveva addirittura venduto la casa per poter investire di più. Un piccolissimo numero fu ripagato, solo per la pubblicità, ma poi le finanziarie pirata tagliarono la corda con i soldi di decine di migliaia di poveracci. La rabbia e la disperazione furono grandi: un'altra parte di albanesi scappò in Italia, molti restarono a fare la fame, e altri ancora assaltarono le caserme e diedero inizio al triste periodo delle bande armate che scorrazzavano per le strade, le quali per un po' furono l'unico vero potere di un paese in preda all'anarchia.
Questi, in breve, gli eventi. Il regista realizza un'interessante opera di ricostruzione storica di episodi non troppo lontani, sicuramente coinvolgente, perché si serve delle testimonianze dei protagonisti, spesso toccanti nei loro drammi umani. Egli stesso, del resto, giunse in Italia a bordo di una di quelle navi. Una parte sono tornati in patria, ora che il paese si sta risollevando, ma molti sono ben integrati in Italia. Anzi, gli albanesi sono un ottimo esempio di integrazione positiva e reale, perché sono persone che amano e rispettano la cultura italiana.
Unico vero limite dell'opera, secondo me, è l'utilizzo del formato 16/9 in un documentario costituito in gran parte da immagini di repertorio in 4/3. L'inquadratura ci rimette sopra e sotto due discrete fette, e la visione inevitabilmente ne soffre. Forse anche qualche passo di musica classica per accompagnare le immagini non è la scelta migliore. In ogni caso è un'opera di impatto, necessaria per ricordare e capire, o per venire a sapere nel caso di chi è giovane.

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