Regia di Rodolfo Bisatti vedi scheda film
Nell’incessante movimento di una terra di confine, Trieste, la crisi di un nucleo familiare in frantumi.?Perché Angelo, il padre, professore universitario e fondatore di un’associazione di aiuto ai profughi jugoslavi durante il conflitto balcanico, ora è chiuso nella propria atarassia, consegna giornali la notte, lontano dalle cose del mondo. Ciò che opprime la sua coscienza è il complesso di colpa per la cecità del figlio, Giovanni, non vedente dall’età di 4 anni per un’operazione non riuscita. Cora, la madre, tiene insieme i cocci, combatte la propria esasperazione, resiste, cura le ferite. Intorno a loro si stringe una ragnatela di persone, solo per un sospetto, per l’ipotesi di un’altra colpa: un serbo, un tempo aiutato da Angelo, lo accusa di traffico di umani, della scomparsa di moglie e figlia. Indagini, doppi giochi. E Giovanni, che insegna a guardare. Non mancano le buone intenzioni a Bisatti: quelle di un cinema intenso, che non semplifica a tema elementare i drammi della storia, che non ha l’arroganza di contenerli e comprenderli, ma li proietta sugli uomini. E ricorre all’interpretazione di non professionisti, a ellissi e sospensioni, a una struttura che non sia semplicemente causale, ma che cerchi il mistero dei volti, che incontri l’umanità dell’attore e inviti lo spettatore a indagarla. Un dispositivo pregevole. A parole. La recitazione non raggiunge una propria peculiare misura, i personaggi soffocano nel letterario, la modernità dell’arte lascia solo tracce di autorialità compiaciuta, simbolismi banali.
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