Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Il magnetismo che circonda "Psyco" è la pulsante emanazione del pensiero che si fa sguardo, e della paura che diventa ritmo. Una volta tanto è un genere, il thriller, a definire il cinema, determinando la funzione dell'immagine ed il senso dell'azione. Tutto ciò che si vede sullo schermo è manifestazione del sentire dei personaggi, tra dettagli di espressioni e riprese in soggettiva, e tutto ciò che accade è lo sfogo di un'intima tensione, sia che si tratti di eludere un pericolo o inseguire un obiettivo, in un'alternanza di reazione impulsiva e piano razionale.
Questo film, pur contenendo il riferimento al tema tipicamente hitchcockiano della doppiezza, è essenzialmente costruito intorno all'idea dell'assenza. L'elemento fondante del giallo, ossia la presenza nascosta (del colpevole, degli indizi, della soluzione) viene qui reinterpretato in chiave psicanalitica, come il tassello mancante che il cervello sostituisce con una proiezione fittizia (vedi la ricostruzione mentale, da parte di Marion, degli eventi che si svolgono a distanza, nella città da cui sta fuggendo), o come il vuoto affettivo, che si tende istintivamente a negare o a colmare, ricorrendo ad illusioni o surrogati (vedi Norman che continua a cambiare le lenzuola in un motel senza più clienti, e si circonda di una compagnia di uccelli imbalsamati). Il paradosso insito nella schizofrenia, che confonde e sovrappone essere e non essere, si estende anche alla natura dell'indagine: cercando una donna scomparsa (che, in realtà, è stata uccisa) ci si imbatte nell'ombra di un'altra che non vive più in senso fisico, ma solo virtualmente, nella psiche di un uomo. L'assassina è lei (o forse lui?), e il punto è che nessuno dei due realmente esiste. "Psyco" è l'opera più rappresentativa della poetica hitchcockiana: in questa storia, realtà ed apparenza, percezione sensoriale e visione onirica, passato e presente, identità e travestimento, non solo coesistono, ma sono effettivamente inscindibili. Non si perviene, come altrove (ad esempio, ne "La donna che visse due volte") ad una separazione risolutrice che delimiti inequivocabilmente una responsabilità. Nella vicenda di Norman Bates, gli opposti sono, invece, uno la chiave di lettura dell'altro, in un infinito andirivieni di rimandi logici, in cui la vera, grande assente è una verità che si possa prima comprendere, e poi giudicare.
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