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Psyco

Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Psyco

di vermeverde
10 stelle

Psyco è uno dei più celebri film del “maestro del brivido e della suspense” in cui Hitchcock esprime al meglio la sua superba tecnica di regia finalizzata ad impressionare lo spettatore.

Girato nel 1959 ed uscito nel 1960 (anno magico per la storia del cinema) mostra in modo paradigmatico la capacità di creare suspense e di sorprendere lo spettatore con ben calcolate e, non di rado,  geniali soluzioni registiche. Il film, così conosciuto che trovo superfluo accennarne la trama, ha come tema di fondo peraltro comune a tutta la filmografia del regista, la doppiezza dei personaggi principali, nessuno dei quali è completamente “buono” o “cattivo” ma ha pur sempre una qualche ambiguità e inducendo negli spettatori un certa complicità nei loro confronti anche quando compiono atti illeciti: i due protagonisti, Marion (Janet Leigh) e Norman (Anthony Perkins) sono presentati come bravi ragazzi, ma trasgrediscono comportandosi in modo opposto alle apsettative.

La tecnica con cui il regista insinua apprensione è ammirevole: sono particolari sequenze e scene che, focalizzandosi su oggetti o aspetti secondari (i cosiddetti MacGuffin, come il furto dei 40.000 dollari o l’agente motociclista) sviano lo spettatore, indirizzandolo su false piste, affinché la scena madre sia una sorpresa assoluta, coadiuvate da improvvise svolte della sceneggiatura. Nell’intervista a Truffaut, infatti, il regista afferma che “più diamo dei particolari sul viaggio in automobile della ragazza, più è assorbito (lo spettatore, ndr) dalla sua fuga ed è per questo che diamo tanta importanza al poliziotto motociclista. ….. Io ho fatto apposta a uccidere la star (cioè non un personaggio secondario ma la protagonista fino a quel momento presente pressoché sempre in scena, ndr)  perché così l’assassinio risulta ancora più inatteso.”

La celeberrima scena della doccia, capolavoro assoluto di regia (70 inquadrature in 45 secondi, scandite dal sordo runore della lama che trafigge la ragazza) che suscita orrore senza essere splatter, è anch’essa un esempio di doppiezza perché ha un implicito senso erotico: Norman desidera Marion, ma, non potendola possedere sessualmente, in un raptus la penetra con il coltello (quale transfert del pene), soddisfacendo così anche la gelosia dell’io/mamma. Non a caso Truffaut, nell’intervisa al regista, osserva che “è un omicidio che è come uno stupro”. Qusta scena è stata radicalmente modificata rispetto al romanzo di Bloch, dal quale è tratto il film, in cui la ragazza nella doccia (poco verosimilmente) era improcvvisamente decapitata con un sol colpo di coltello, quasi come in un suppoku.

Un altro colpo di genio, poi, è la terrificante ultima inquadratura di Norman in cui una dissolvenza al suo volto dallo sguardo allucinato e dal sorriso sardonico sovrappone il teschio della “mamma”, dando così un’impronta di morte retrospettivamente a tutto il film e lasciando lo spettatore con una sensazione non consolatoria di disagio.

La riuscita del film è dovuta anche alla convincente interpretazione dei protagonisti, Janet Leigh e Anthony Perkins, quest’ultino autore di una superba prova di immedisimazione nel personaggio, e dei coprotagonisti Vera Miles (la sorella di Marion), John Gavin (l’amante di Marion) e Martin Balsam (l’investigatore). Una curiosità: Janet Leigh era già stata pesantemente vessata proprio in un motel ne “L’infernale Quinlan” di Orson Welles, di due anni precedente Psyco.

Per concludere la recensione di questo capolavoro, sono perfette le parole di Hitchcock nella citata intervista:  “Quello che mi importa è che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnica possano far urlare il pubblico ….. Quello che ha commosso il pubblico è stato il film puro”.

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