Trama
Yacine lavora come veterinario nello zoo di Qalqylia nei territori palestinesi. Qui, sono ospitate anche le giraffe Rita e Brownie, l'unica passione di suo figlio Ziad. Quando Brownie muore conseguentemente a un raid aereo, il piccolo Ziad accompagna il padre in una rocambolesca avventura per trovare un nuovo compagno a Rita. Il loro piano è quello di riuscire a trafugare un maschio di giraffa da uno zoo israeliano e introdurlo di nascosto nel loro zoo ma pagheranno un prezzo alto per riuscirci.
Approfondimento
GIRAFFADA: ISPIRATO A UNA STORIA VERA
Diretto da Rani Massalha e sceneggiato da Xavier Nemo su soggetto dello stesso Massalha, Giraffada racconta la storia del particolare rapporto tra Ziad, un bambino di dieci anni figlio del veterinario Yacine, e di una coppia di giraffe all'interno di uno zoo palestinese al confine con la West Bank. La vicenda prende avvio dopo che, in seguito a un raid aereo, Brownie, la giraffa maschio, muore e la compagna Rita non riesce a vivere da sola, lasciandosi lentamente andare. Per evitare che accada il peggio, occorre trovare un nuovo compagno a Rita ma solo uno zoo di Tel Aviv potrebbe essere d'aiuto. Considerando le suddivisioni e i conflitti tra israeliani e palestinesi, Yacine escogita un piano alquanto complesso per cui trova validi alleati nel figlio, in Yohav (un amico veterinario israeliano che vive ad Haifa) e Laura (una fotoreporter medicata da Yacine): passare il confine, arrivare ad Haifa e rapire dallo zoo la giraffa Romeo.Con il piccolo Ahmed Bayatra nei panni di Ziad, il cast di Giraffada comprende i nomi di Saleh Bakri (è Yacine), Laure De Clermont (è Laura) e di Roschdy Zem (è Yovah).
Nato da padre palestinese e da madre egiziana, Massalha ha preso spunto per Giraffada da un evento realmente accaduto nel 2003 durante la seconda intifada: la morte di una giraffa nello zoo di Qalqilya e i tentativi da lui fatti per rimpiazzare l'animale acquistandone un altro da uno zoo israeliano. Con lo scopo di riportare un po' di gioia ai bambini palestinesi, Massalha vide però il suo tentativo fallire e non andare mai in porto. Sulla vicenda, tra l'altro, esistono anche un libro scritto dalla giornalista britannica Amelia Thomas (The Zoo on the Road to Nablus), un documentario diretto da Hayden Campbell (The Zoo) e un'opera d'arte realizzata dall'artista tedesco Peter Friedl.
IL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE E IL RAPPORTO PADRE-FIGLIO
Dal sapore di una favola, Giraffada permette di far vedere concretamente gli effetti deleteri del conflitto israelo-palestinese ma anche la splendida evoluzione del rapporto tra un padre e un figlio. A spiegare meglio la natura del film sono le parole del regista Rani Massalha: «Il film è ambientato in Palestina: sullo sfondo sono costanti le tensioni tra palestinesi e israeliani, ma il cuore della storia è il rapporto tra un padre – Yacine, il veterinario dello zoo di Qalqilyia – e il suo giovane figlio, Ziad, che a soli dieci anni si deve confrontare con le difficoltà quotidiane di una vita resa ancora più complessa dalla perdita della madre. Il rapporto tra padre e figlio funge così sia da fulcro emozionale sia da motore narrativo: se Ziad all’inizio del film cita la filosofia di vita del padre (“Un minuto sei una mera possibilità, il prossimo tu esisti. Come un albero che cresce su una parte della strada solo perché il vento soffiava in quella direzione.”) in realtà per tutto il film Ziad cercherà di provare a se stesso e a suo padre che la volontà e il desiderio possono invece avere la meglio sulla casualità della natura. E sarà proprio Ziad, con la testarda tenacia di bambino, a spingere il padre ad agire, a mettersi in gioco, a rischiare la propria libertà: e tutto questo per amore del proprio figlio, che equivale all’amore per la libertà tout court.
L’amore di un padre per un figlio, e di un figlio per il padre: il contesto è specifico – la Palestina, il giogo israeliano – ma i sentimenti sono quanto di più universale si possa raccontare e mettere in scena. In Giraffada l’azione è al servizio di emozioni forti, primarie, commoventi nel senso più etimologico del termine: quanto è disposti un uomo a rischiare per l’amore per il proprio figlio?
Storie di esseri umani, innanzitutto. Un padre, un figlio. E una giovane donna, Laura, una giornalista che lotta con tutta la forza dell’idealismo di una cittadina europea che esercita una professione di grande responsabilità. Non è nata in quei luoghi, in fondo ne è solo un’ospite temporanea: potrebbe disinteressarsi della vicenda di Yacine e Ziad, dello zoo di Qalqilyia, ma invece no, decide di sostenere la loro causa. E così aiuterà Yacine e Ziad a recuperare una giraffa in Israele, mettendo anche lei in gioco la propria incolumità e libertà.
Una storia universale di uomini, bambini e donne, ripeto. Ma non solo: protagonisti sono anche gli animali, ovvero le giraffe del titolo. Ogni moderna fiaba che si rispetti non può che arricchirsi di senso ed emozioni dalla presenza di animali: in questo caso sono due giraffe, animali bellissimi, esotici, delicati, esposte anche loro alla follia e alla violenza umana. Anzi esposte ancor più tragicamente perché tali follie e violenze non possono comprendere. E così le disavventure della coppia di giraffe diventano una metafora delle disavventure di noi umani. Così la vulnerabilità delle giraffe è la nostra vulnerabilità, portata all’estremo: non hanno voce per parlare, vivono in gabbie con sbarre ben visibili (ma il muro palestinese non è forse una gabbia?). E in fondo, il lutto della giraffa che perde il proprio compagno nell’attentato è come il lutto di Yacine per la moglie che ha perso. E la giraffa che sopravvive aspetta un bambino, così come Yacine ha un figlio che ama e di cui è responsabile. E il ristabilimento di
una nuova coppia di giraffe alla fine, è il parallelo nel mondo animale della coppia che potrebbe rappresentare Yacine e Laura, se l’ingiustizia umana non li allontanasse. E così i sentimenti che proviamo per queste giraffe, l’empatia profonda per il loro dolore non possono non ricordarci che anche noi – dietro le sovrastrutture di secoli di civiltà e culture diverse – siamo animali. E tornano in mente i versi di La capra, di Umberto Saba, che in una capra aveva visto specchiarsi la sofferenza umana: lì la capra era descrita “dal viso semita”, ed evocava la tragedia dell’Olocausto. Nel caso di Giraffada si parla del popolo palestinese. Ma la sostanza non cambia: soprusi, violenza, guerra… non ha senso fare differenze di nazionalità o religioni perché il dolore è universale, così come l’amore, il desiderio di fratellanza e di pace».
Note
Il regista Rani Massalha è palestinese d’origine, ma di fatto francese. Ha lavorato a lungo con Rachid Bouchareb, e del suo cinema ha metabolizzato pregi e difetti: la capacità di individuare in ogni situazione storicamente tragica un punto di vista corale ma anche il ricorso a una narrazione troppo didascalica, dove buoni e cattivi non si mescolano. Le metafore (zoo - muro, cattività - libertà) sono tutte fin troppo evidenti e persino l’immagine degli israeliani (crudeli e stolti), emotivamente comprensibile, non rende giustizia a un racconto che avrebbe avuto bisogno di altra densità.
Trailer
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Commenti (1) vedi tutti
Un muro in Cisgiordania a Qalqilya che divide e strazia uomini, famiglie e animali...
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