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La vita di Adele

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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maurri 63

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La recensione su La vita di Adele

di maurri 63
6 stelle

Quinta straordinaria schifezza targata Kechiche, che, sapendo come fare, prende per i fondelli tutti: vero è che Zio Spielberg non ha mai capito nulla di cinema d'Autore, altrettanto incomprensibile sono le lodi sperticate a questo film, le cui vicende sembrano ricalcare i personaggi di Dumont (mai il cinema francese è caduto così in basso...), ma con la pretesa di stendere un maniofesto morale di comportamento. Eh, sì: l'autore (minuscolo, s'intende) cioè Abdellatif Kechiche racconta sempre lo stesso evolversi di una storia, partendo da una ragazza, senza spiegarci nulla - mai - della sua provenienza, della sua famiglia, indugiando in modo leccato con la cinepresa (almeno prima aveva la bontà di destreggiarsi con il digitale, oggi ci inonda di fiumi pellicolari: 187 minuti - !!!! - di insopportabile pazienza) sui primi piani degli attori, senza dire nulla. In concreto: una ragazzina antipatica (la Adele del titolo) sogna una donna dai capelli blu; mentre la fanciulla pensa di essersi innamorata di Thomas, giovane dal presente innervato di mistero (?), con cui però non riesce a fare davvero l'amore, la donna dai capelli colorati è sempre più presente nell'Io di Adele. Le due si incontrano per davvero, lasciano alla giovane la scoperta di essere omosessuale. Ma non è tutto già visto ? Non l'ha fatto prima, molto prima, il mitico Marco Ferreri  ? No, no, ci dice l'autore (sempre con la minuscola); io voglio addentrarmi nella gabbia dei rapporti, rompere gli schemi, selvaggiamente, tra le due protagoniste : ma non è stato detto in modi diversi e con cadenze più gentili ma drammatiche da Bruno Dumont ? No, perché, rotto il legame, comincia la storia di riscatto della nostra antipatica eroina: scusa, come ne i Dardenne ? No, no: voglio raccontare anche come una periferia può essere il centro del mondo e come, viceversa, il centro del mondo può trasformarsi in periferia: come già ha fatto Bertolucci ? Si, cioè, no...insomma, non si sa. Fatto sta che lo spettatore si chiede - ameno che non sia un difensore ad lotranza del regista franco-tunisino (ce ne sono, ce ne sono...) quale il messaggio, quale l'identità reale, quale il senso "definito" di universale, che trasparee da un'opera che sembra per metà un ricalco di temi noti, ormai superati, ed ampiamente messi in scena, per l'altra metà una fiera come in "Tutta colpa di Voltaire", "Venere n era", ed il plurisopravvalutato "La scivata" che, però, aveva il merito di cercare un pubblico. Cosa che qui non avviene: tutto è finto, tutto gira a vuoto, a cominciare dalla direzione degli attori, il cui stato di improvvisazione è fastidioso, mai virtuosisticamente apprezzabile, tirato per le lunghe, senza un vero fulcro emotivo. Certo, Kechiche è stato mal giudicato dai suoi stessi connazionali, i suoi metodi di lavoro (fascistoidi senza autorevolezza, dicono i maligni) sono costrittivi (paga pochissimo le maestranze, costringe gli attori a turni di ripetizione infiniti, senza grandi scosse né risultati), ma ciò non toglie che se si arriva al capolavoro, tutto pare lecito (e sottolinerei il "pare"). Ciò che invece accade è un profondo senso di noia, di scarsa forza letteraria, di una macchina da presa tenuta fissa solo per vezzo e mai per necessità sui primi piani (salvo poi a mostrarci le nudità che fanno "vendere" il film), di una incapacità cronica a procedere per ellissi, come invece la storia richiederebbe, ma anzi a spiare in tutto e per tutto i protagonisti, senza però mai dirci nulla di veramente esatto su di loro. Tratto dalla graphic novel (in Francia, si sa, va di moda il fumetto "impegnato" - di che ?) "Il blu è un colore caldo" di Julie March, la sceneggiatura è firmata dal regista con Ghaia Lacroix, mentre la protagonista è l'esordiente Adele Exarchopoulos, che duetta con la nipotina dell'impero francese Pathé, ovvero Lea Seydoux (che il regista ha definito "viziata"), summa di tutto ciò che dovrebbe essere agli antipodi di un film che vince a Cannes. I furbissimi italiani della Lucky Red distribuiscono (tanto basterebbe per disertare le sale, bé: rassegnamoci, investono (?) solo sul sicuro, per loro ammissione). Di là dalle polemiche sterili, Kechiche fatica sempre a trovare un'attrice con cui stabilire un rapporto duraturo, vuoi per motivi caratteriali, vuoi per circostanze, ma, indubbiamente, si pone come uomo di potere nel cinema transalpino. Straordinario tributargli tutti questi onori dal "basso" (avviene anche sul sito, purtroppo...), meno che a rendergli omaggio siano ex-registi come Steven Spielberg: in fondo, solo così si possono vincere i Leoni. E pensare che, negli anni precedenti, proprio Abdellatif Kechiche aveva uralto allo scandalo sui premi assegnati (a Venezia come a Cannes) molto tempo prima che si facessero i festival.....    

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