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La vita di Adele

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La vita di Adele

di laulilla
6 stelle

Il film, Palma d’oro a Cannes nel 2013, fu ispirato al regista da un popolare “grafic novel” di Julie Maroh, raccolto nel volume “Il blu è un colore caldo”.

 

Adele (Adèle Exarchopulos)

cresce in una famiglia semplice e solida di gente per bene, che vive di lavoro e tiene molto a quest’unica figlia, la educa con cura, non le fa mancare nulla, e, lasciandole scegliere gli studi in vista del futuro che vorrebbe, spera che il percorso scolastico le consenta - già prima della fine dell’università - una qualche forma di impiego a lei gradito, così da rendersi presto indipendente.

La giovinetta, avendo sempre amato i bambini, vorrebbe specializzarsi come insegnante d’asilo, ma ora è poco più che un’adolescente: frequenterà l’indirizzo umanistico del liceo più vicino.


A scuola non riesce ad appassionarsi agli analitici esercizi di lettura del suo prof. di francese. Benché le piaccia leggere, infatti, detesta i tentativi di interpretazione; apprezza il testo, ma non lo sforzo di comprenderlo attraverso l’uso della ragione: preferisce vivere in modo emozionale le opere letterarie, anche abbandonandosi all’ondata di associazioni e di sogni che i grandi scrittori evocano in lei, tanto che, ora, davanti a La vie de Marianne di Marivaux, che molto le piace, farebbe volentieri a meno delle lezioni “noiose” dell’insegnante.

 

Nella vita quotidiana la giovinetta apprezza in modo particolare i cibi semplici che le vengono preparati in famiglia: gli spaghetti al ragù, sopra ogni altro piatto, che gusta con goloso piacere, senza troppo preoccuparsi quando l’eccesso di ragù imbratta la sua bocca e i suoi denti bianchi, su cui si posa con insistenza significativa la cinepresa del regista, molto attento anche alla grazia provocante delle sue curve, che Adele inguaina, compiacendosene, in un paio di jeans attillati.


Il ritratto di Adele, quale - soprattutto attraverso l’uso dei primi piani - il regista delinea nella prima parte del film, è quello di una giovane  sensibile e sensuale, bella, dal mobile sguardo di chi – indagando su un mondo ancora tutto da scoprire – lascia trasparire ingenuamente ora la gioia, ora il dolore, ora lo sconcerto, ora la meraviglia, ciò che contribuisce non poco all’identificazione empatica degli spettatori con lei.

 

 

La prima esperienza amorosa di Adele non era stata fra le più felici: “lui” era uno studente simpatico e innamorato, ma si era rivelato anche un amante fallimentare, ciò che l’aveva indotta a lasciarlo senza troppi complimenti. Sarebbe stata Emma la giovane coi capelli blu, incrociata casualmente mentre stava attraversando la strada, la persona capace di rispondere ai suoi sensi curiosi e sempre all’erta, e di farle perdere, dal primo momento, letteralmente e metaforicamente, l’orientamento.

Dopo l’incontro inaspettato, nella vita di Adele tutto sarebbe improvvisamente e definitivamente cambiato:i turbata e decisa, si era messa sulle tracce della ragazza dai capelli turchini, trovandola, infine, in un locale notturno frequentato da gay, dove si era lasciata corteggiare.

In una scena tenera e dolce, Emma aveva adattato il proprio comportamento all’ingenua carnalità della fanciulla, come per liberarla da qualsiasi imbarazzo: la bevanda analcolica, la cannuccia per sorseggiarla, il sorriso affettuoso…

 

 

Emma (Léa Seydoux)

è più adulta e più consapevole di lei: sa che diventerà pittrice, assecondando il suo naturale talento; la sua provenienza sociale e familiare la rende sicura di sé e poco preoccupata del giudizio altrui; sa che i suoi pensano alla sua futura realizzazione umana e creativa, piuttosto che al suo lavoro; sa che non hanno preoccupazioni economiche e che accettano senza problemi la sua omosessualità.
Il cibo, così fondamentale nella vita di Adele, è molto meno importante per lei per nulla attratta da spaghetti al ragù, ma estimatrice esperta di frutti di mare e di ostriche, di vini pregiati e di tutti i lussi grandi e piccoli che allietano le ricche cene della buona borghesia. Queste differenze profonde nei gusti, nei comportamenti e nelle frequentazioni sono all’origine del lento logorarsi del loro ménage, in cui a poco a poco, senza che se ne manifesti un’esplicita volontà, si riproducono ruoli sociali di dominio e di subalternità, che rendono difficilissima la continuità di un rapporto d’amore, poiché alla passione fisica non si affianca una convivenza ricca di progetti condivisi, di amicizia e di reciproca intesa.


In dieci anni di vita insieme le due donne avevano sviluppato separati interessi professionali, e accresciuto la rispettiva coscienza di sé, ma Adele in misura minore di Emma, che ora è una intellettuale raffinata, una affermata pittrice, alla quale si interessava un vasto entourage di persone di cultura. Adele, invece, non era che la modella prediletta di lei, colei alla quale era affidata la cura della casa, l’organizzazione delle cene e dei banchetti, nonché la preparazione di piatti squisiti, rimanendo fondamentalmente esclusa, però, da qualsiasi discorso culturalmente interessante e impegnativo, né era senza significato simbolico che il colore dei capelli di Emma tendesse sempre più al biondo, perdendo quel blu, colore caldo e riferimento passionale, che Adele aveva immediatamente intuito e che tanto l’aveva impressionata.

 

 

 

 

 

Ho coscienza di non aver ancora parlato della parte centrale del film, ovvero all’insieme delle sequenze che, rappresentando senza veli quasi brutalmente (come era stato affermato da critici autorevoli) la passione fra le due donne, avevano scatenato una scia di interminabili polemiche e di discussioni, quasi delegittimando la Palma d’oro ottenuta a Cannes.


Secondo me, difficilmente scandalizzabile, il film probabilmente avrebbe tratto qualche vantaggio eliminando le scene (non necessariamente quelle di sesso) inutili, perché prive di sviluppi o ripetitive: le meno funzionali, insomma, ai fini narrativi.
Aggiungo, però, che le scene di sesso non mi sono parse sempre del tutto fuori luogo: l'iniziale il ritratto di Adele ne evidenziava – con la “brutalità ” degli insistenti primi piani – soprattutto la spontanea carnalità, la ghiottoneria, l’abbondante salivazione, confusa talvolta con le lacrime, con i goccioloni dal naso, e via inondando in un crescendo di secrezioni… 

 

Abdellatif Kéchiche ha avuto il merito, secondo me, di aver saputo coinvolgere gli spettatori in un film che - nonostante sia eccessivamente dilatato - è piacevole e si lascia seguire, mantenendosi fedele alla propria visione del mondo e dei rapporti sociali (di chiara derivazione da Marivaux), quella stessa che già aveva espresso con chiarezza nel film d’esordio, La schivata, per me, probabilmente, il migliore dei suoi.

 

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Recensione del 27 ottobre 2013, aggiornata per questo sito.
Film attualmente ricuperabile in streaming.

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