Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Adam e Eve (una metafora evidente anche per quel che riguarda i nomi scelti per rappresentarli), in quanto vampiri, sono amanti da un’eternità, ma il tempo non ha estinto la loro passione elettiva, e rimangono anche nell’odierna condizione, appassionati e bellissimi “cultori del sublime”, al contrario di ciò che accade invece ai comuni mortali che si sono ormai da tempo persi nel nulla avvolgente dell’effimero.
Il loro bisogno di sangue non è cambiato rispetto al passato, ma è ormai delegato all’acquisto di sacche ematiche fornite da compiacenti infermieri-pusher. Non più assillati dunque dall’impellente necessità di procurarselo cercando nuove vittime da immolare sull’altare del bisogno, hanno tutto il tempo per dedicarsi all’arte, alla musica, all’amore.
Nella loro lunga vita hanno incontrato artisti e scrittori, alcuni dei quali sono diventati altrettanti vampiri (primo fra tutti il grande drammaturgo inglese Christopher Marlowe, con il quale disquisiscono spesso con dotta competenza). Si può dire insomma che in questa lunga scorribanda fra i secoli, sono riusciti ad assorbire e fare propria tutta la conoscenza del mondo, un mondo che si è però e purtroppo degradato lentamente, fino ad arrivare a quello davvero deprecabile del presente, ormai definitivamente rovinato da ignoranza, volgarità e pressappochismo.
Per i nostri due eroi dunque, trovare nuova linfa e nuovi stimoli diventa una primaria questione di… sopravvivenza.
Turbati dall’arrivo della sorella di Eve, rischiano quasi di perdersi, ma sapranno comunque ritrovarsi quasi magicamente… in questa loro convivenza di “lunga durata”, coltivata con pazienza, complicità, scambio di sangue e tanta dedizione, che nella bella messa in scena del regista, assume il senso di un vero e proprio inno all’amore.
Il mondo dei vampiri aderisce perfettamente alla poetica di Jarmusch, specie se – come in questo caso – le creature notturne sono romantiche, sofisticate e dark (e infatti il risultato è affascinante, intrigante, capace di entrare nella pelle e nel cervello dello spettatore, di emozionarlo e avvincerlo come ormai raramente succede al cinema in questi ultimi tempi).
Il messaggio è chiaro e condivisibile: noi “zombi (come vengono qui saggiamente definiti gli umani) dovremmo imparare di nuovo (semprechè ne fossimo davvero capaci) a percepire le bellezze del mondo, a guardare e ascoltare il pulsare della vita come sanno fare loro, sia quando si confrontano col paesaggio post-industriale di una Detroit funerea, livida e notturna che sembra in abbandono, o si aggirano invece stremati negli intricati vicoli di una Tangeri talmente in “decomposizione” da risultare immaginifica con le sue risonanze provenienti da antiche civiltà; gli ultimi barlumi di speranza che si stanno consumando troppo in fretta, ma che li portano a scoprire una nuova, inaspettata “bellezza” su cui rigenerarsi, quella della folgorante voce di Yasmine Hamdam, così potente e preziosa da restituire la vita anche a un moribondo (chi ha visto il film sa a cosa alludo) che anticipa un finale davvero travolgente per l’immedesimazione empatica che è capace di suscitare.
Splendidamente interpretato da un Tom Hiddleston (il Loki di “Thor” e di “The Avengers”) qui in versione dark: affascinante, tormentato, romanticamente ambiguo come un vero dandy d’altri tempi, assolutamente “perfetto” per definire l’atemporalità nostalgica e carnale di Adam, e da una ancor più strepitosa Tilda Swinton (la languida, magnetica Eve) qui in una delle sue migliori performances di sempre, è un film di straordinaria rilevanza da gustare non solo con gli occhi (indimenticabili le immagini, il barocchismo degli interni, i voluttuosi movimenti di macchina, resi davvero strabilianti dalla notturna, preziosissima e polverosa fotografia di Yorick Le Sau), ma anche con gli orecchi, poiché qui il sonoro è fondamentale e tutta la pellicola è un omaggio alla musica, non solo quella di ieri, che rivive e palpita attraverso l’imponente apparato vintage della casa di Adam, ma anche quella contemporanea, piena di sonorità elettroniche e mediorientali che trascinano l’anima estasiata verso paradisiache, vertiginose vette di piacere sensoriale.
Da ricordare infine che attorno ai due “meravigliosi” protagonisti si muovono con altrettanta bravura , John Hurt (il suo Marlowe è da antologia) Mia Wasikowska (Ava, la più “sbarazzina” sorella di Eva), Anton Yelchin e Jeffrey Wrights.
Un film insomma da vedere e rivedere senza mai stancarsi, davvero all’infinito.
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