Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Il dio dei tempi morti Jim Jarmusch ha sfornato un suo ultimo, asfissiante, film ipnotico. Maestoso, glaciale, innervato di una dose di humour così stridente da risultare malsana eppure così ben misurata da rasentare la naturalezza, Only Lovers Left Alive lascia il segno e rimane impresso nella memoria. Il film di Jarmusch ha infatti l’incedere sempre uguale, in stordente e stordito loop, dell’eternità, e fa vivere i suoi personaggi immaginando proprio i due vampiri protagonisti come uomini tra i pochi veramente “vivi”, pur nella loro floscia andatura, e invece immaginando gli esseri umani come zombie storditi costretti ad una stupida contingenza. Il film, come i suoi vampiri, si lascia andare all’immortalità, e in questo senso si prende i suoi tempi in maniera anche più estrema di altri film di Jarmusch disperdendosi in sensazioni, stimoli, eventi scollegati, privandosi di una trama (che era presente pure nel laconico Broken Flowers), spesso dando meno informazioni caratteriali e/o narrative in cambio dell’ellissi e raggiungendo vette di caustica poesia sulla scia ben tracciata ma anche migliorata di Dead Man.
I vampiri di Jarmusch sono intellettuali isolati dal mondo, la cui abitazione è un vortice confusionario che trattiene in sé l’intero scibile umano, divenuto abbastanza ripetitivo e povero da rendere i nostri vampiri meno esplicitamente passionali, più “rassegnati”, anche se sempre attivi nella loro geometrica e quotidiana ricerca di 0 negativo per potersi dissetare e conferire energia alla propria carne pallida. Ogni opera d’arte, strumento o foto è associabile a un passato glorioso che non casualmente coincide con quei tempi in cui i vampiri si prendevano il sangue direttamente per strada, attaccando e succhiando il sangue di poveri malcapitati “zombie”. Non come l’oggi, che poi è un imprecisato tempo presente, in cui in ospedale si possono ricavare bottiglie di sangue corrompendo qualche medico. Prima era tutto più difficile, rischioso, magari meno ripetitivo e anche più vitale, nonostante si parli comunque di esseri morti e trasformati in succhiasangue. Accumulato tutto ciò che si deve conoscere (dalla letteratura alla musica a [troppo poco!] cinema), Adam e Eve più che vivere alla giornata vivono “al secolo”, nello stanco ripetersi di giorni sempre uguali ma intrisi del profondo sentimento che li unisce. Il loro amore è l’unica entità astratta paragonabile all’immensa mole di conoscenza che li caratterizza (anche grazie a esperienze del passato davvero formidabili, nonché ben tre matrimoni), e forse è un sentimento confuso ma ben definito tanto quanto sono confusi libri, strumenti e vinili in giro per la casa di Adam. In un loro Eden post-apocalittico, in cui le strade si sono svuotate della presenza umana e sono attraversate da rarefatte ed evanescenti figure metropolitane, i due amanti dal nome tanto primordiale aspirano con lentezza a trovare stimoli artistici che possano effettivamente costituire una discontinuità, anche se sono abbastanza pessimisti, al riguardo, che non li cercano mai direttamente ma preferiscono ad essi la clausura. Anzi, dalle loro parole si direbbe che la fama e la vita pubblica costituiscano una fonte di vergogna e ridicolaggine, una forma di vita deprecabile e propria degli “zombie” umani convinti di vivere ma immersi del tutto nel morire dell’aere. Solo loro, nella loro funerea coerenza, vivono in funzione del bisogno fisiologico del sangue e psicologico dell’arte, pur nella condizione ossimorica di cadaveri immortali. Sono loro i portatori dello scibile e del sentimento umani, pur non essendo più umani ma sentendosi tali giorno dopo giorno – semplicemente con abitudini un tantino diverse. E nel loro divorare la creatività e il passato della razza umana si spingono in avanti mantenendo il loro segreto nell’ambiguo e perverso desiderio di affacciarsi, anche solo per scherzo, nel reale, per poter magari svelare la vera identità di un certo Keith, niente poco di meno che Christopher Marlowe, autore del Faustus. La cultura che arricchisce i due protagonisti è indagata da Jarmusch con uno sguardo estasiato ma cosciente, maturo, che fa dell’ironia un’arma atta allo straniamento dei sensi e dell’intelletto. Intessendo una ragnatela di citazioni, riferimenti, allusioni (per esempio Marlowe sarebbe il vero autore di Hamlet poiché Shakespeare è magari stato inventato proprio per diventare famoso e morire nella volgarità della fama), Jarmusch fa l’occhiolino allo spettatore colto e strapazza un po’ lo spettatore impaziente, sfaccettando con estro surreale il tempo immerso di queste due vite immortali. Finché, in una ricerca da girovaghi, uno stimolo finalmente può farsi strada, e magari costretti dal bisogno, nella loro immensa coerenza, i due possono tornare a “vivere” secondo la loro natura, smettendo di adattarsi alle “convenzioni”, in un ultimo fotogramma meraviglioso, ironico e spiazzante. Perché solo l’amore porta alla sopravvivenza, a prescindere dalla morte o meno delle carni.
Probabilmente finora il miglior film di Jarmusch, catatonico e al contempo brillantemente giocoso, virtuosistico e manierista, nelle splendide pose dei corpi nudi dei due protagonisti. Decadente come poche altre cose, nel panorama del cinema attuale, Only Lovers Left Alive ha la melodia di una stella dispersa nello spazio, che sta per conto suo, tira fuori dalla realtà e, riconducendo lo sguardo dello spettatore in luoghi occulti, ipnotizza senza requie, immerge nella lentezza. In una paradossale e funerea spinta alla vita.
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