Regia di John Curran vedi scheda film
Immaginate di voler girare un film che racconta di una ragazza che attraversa un deserto australiano in compagnia di quattro cammelli. E supponete pure di voler inserire nella sceneggiatura il più alto numero di banalità senza nessn pudore. Cosa fareste?
- Una ragazza giovane e carina,
- a cui tutti sconsigliano il viaggio,
- con un trauma infantile che si rivela durante le notti sotto le stelle,
- che impara a domare i cammelli superando le cattiverie del mondo,
- che impara dai boscimani insegnamenti esoterici,
- che supera con orgoglio i momenti difficili,
- che ha come un unico amico un cane che muore,
- che prima è infastidita da un fotografo arrogante ma poi alla fine le piace,
- che perde la bussola che le aveva regalato il padre ma poi la ritrova (nel deserto!),
- che cammina 6 mesi nel deserto senza cappello nè occhiali da sole mezza nuda (!),
- che arriva in fondo con la forza della volontà.
Beh, se volete fare un film con questo cumulo di banalità lasciate stare, qualcuno ci ha pensato prima di voi.
Due stelle per la bellezza dei paesaggi.
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Hai ragione, non bisognava farne un film, o almeno non lo doveva fare Curran. Ha banalizzato, anzi, peggio, reso ridicola un'esperienza reale importante, avrebbe dovuto tener conto di queste parole dell'autrice del viaggio e del libro che scrisse due anni dopo, 1977:
"Ho scritto un libro due anni dopo aver raggiunto l'Oceano Indiano, la fine del viaggio.
In un piccolo appartamento, dall'altra parte della terra, una straordinaria opera di memoria ha avuto luogo, ricostruendo interamente nove mesi, ogni singolo campeggio durante un cammino a piedi di quasi 3000 chilometri. Ricordi limpidi (o almeno così mi sembrava allora).
Ma una volta che il libro è stato pubblicato, i ricordi cominciarono a svanire, come se il libro li avesse rubati.
Il vero viaggio, chi ero quando l'ho fatto, tutto è crollato, lasciando dietro una somiglianza chiamata Tracks, e alcune fotografie di una giovane donna che ho avuto difficoltà a identificare con me.
Erano fotografie mozzafiato, ma dal momento in cui le ho viste mi hanno messo a disagio.
Ho capito, in modo rudimentale, che rappresentavano una perdita di soggettività, e che il viaggio, il mio viaggio, alla fine, sarebbe stato riassunto dalle sue ricostruzioni"
Ma, come spesso accade, e nel mondo del cinema forse più spesso che altrove, basta vedere la fauna famelica che frequenta i festival, se trovi i soldi per farlo e gli amici giusti lo fai, pure se sei una testa di carciofo, e magari vai pure a Venezia.
"
Forse bisogna rinunciare a raccontare le esperienze reali, per quanto soggettivamente straordinarie, perche' risultano forzosamente banalizzate, mentre la vera arte cinematografica ci si manifesta quando ci vengono raccontati avvenimenti di fantasia ma prototipali, e quindi piu' veri della verita' cruda, che diventa scialba appena fissata sulla pellicola.
Vero fino ad un certo punto, dipende. Ho appena visto un film bosniaco presentato a Venezia e tratto da una storia vera, Il figlio di nessuno. Nulla da eccepire, la verità e il cinema convivono egregiamente
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