Regia di John Curran vedi scheda film
«Perché no» è l’unica risposta di Robyn Davidson a chi le chiede conto del suo folle proposito. «Per dimostrare che chiunque può fare qualunque cosa» è il massimo che si può ottenere, con un po’ d’insistenza. Chiunque: una ragazza di 25 anni, negli anni 70 dello scorso secolo, senza alcuna preparazione o esperienza. Qualunque cosa: attraversare in solitaria 1.700 miglia di deserto australiano, con l’unica compagnia di quattro cammelli e un cane. All’apparente mancanza di scopo dei suoi coetanei, Robyn risponde con un’impresa altrettanto insensata, perseguita con tenace e perfino fastidiosa cocciutaggine, senza la premeditazione ideologica di Into the Wild (che pure evoca, per affinità).
Il film di Curran funziona meglio quando assedia quest’assenza di spiegazione, pedinando la sua protagonista nella difficoltosa organizzazione del viaggio, tra scetticismi collettivi e aperte ostilità. Poi si dimentica di assecondare la sua urgenza di silenzio e solitudine, soffocandola con una colonna sonora orchestrale, sprofondandola dentro abbacinanti paesaggi che conservano lo stesso spessore di una cartolina. Il sole batte forte sul capo determinato di Mia Wasikowsa, ma fallisce nel rivelare le zone d’ombra dietro le sue cicatrici. E nello sgranare le tappe del suo cammino, ripropone su grande schermo l’effetto del reportage National Geographic che documentò la storia vera di Robyn Davidson, confondendo l’aneddotica (pur visivamente splendida) con l’universalità dell’avventura.
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