Regia di Harald Zwart vedi scheda film
Clary Fray ha 15 anni, la luce e la fragilità già nel nome proprio (ma non sono pure il nome comune di ogni adolescente?). Disegna distrattamente una runa celtica mentre parla al telefono con l’amico del cuore, e vede lo stesso simbolo nella schiuma del cappuccino. Vive a Brooklyn, e avremmo voluto conoscerla nella sua casa prima che due energumeni la radessero al suolo portando via la madre. Zwart se ne infischia della presentazione che innesca la confidenza, e ci getta in corsa accanto a personaggi che si spiegano nell’azione. La prima parte di Shadowhunters è una prova di agilità tra vampiri e licantropi, spavaldi predatori di demoni e timidi spasimanti umani. Quando Clary scopre di essere una cacciatrice, la città attorno a lei si rovescia come una campana, aprendo monasteri gotici nelle catapecchie legnose e illuminando giardini paradisiaci dove gli irrigatori scattano magicamente, ovviamente, a tempo di bacio. È il momento più spudorato di un’opera iperconsapevole delle premesse e dei limiti. Il destino è già scritto, nella matrice letteraria (qui la saga di Cassandra Clare) e nella trasposizione cinematografica: se Lena in Beautiful Creatures lo leggeva tra le righe di una pagina bianca, Clary impara a decifrarlo tatuandoselo sulla pelle. Può creare neologismi che la difendano dal Male, ma non c’è scudo che la preservi dall’amore impossibile. «Tutte le storie sono vere», dice l’androgino guerriero Jace, e ormai neppure ci illudono di poterle cambiare. Come Clary, siamo spettatori affascinati e inermi.
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