Regia di Mikio Naruse vedi scheda film
Che meraviglia! Rielaborando accortamente i modelli americani, questa “commedia-drammatica” di Naruse (al suo primo film “importante”) si distingue per l’elevato tasso di modernità sia a livello tematico che stilistico, tanto da imporsi, una volta dissepolta dall’oblio, come opera di genere antesignana per il cinema giapponese dell’epoca.
In fatto di contenuti balza immediatamente all’occhio come siano i prediletti costumi tradizionali nipponici a subire un’azione di sovvertimento tanto sottile quanto radicale.
Naruse è tra i primi in patria a mostrare una giovane coppia emancipata come se si trattasse di coetanei newyorchesi, con “l’aggravante” di una figura centrale femminile che con sorprendente naturalezza è cardine e motore razionale della vicenda, privilegio non ancora concesso nemmeno alle coeve eroine della screwball hollywoodiana (Incantesimo e Susanna arriveranno nel 1938).
Ai due affiatatissimi innamorati si aggiungono una singolare matriarca intellettuale un po’ "lavativa", in sconcertante antitesi con il canonico angelo del focolare sottomesso e premuroso tipico del shomin-geki, (stereotipo rimasto pressoché d’obbligo nella terra del sol levante per almeno un quarto di secolo), e una famiglia allargata povera e sostanzialmente felice(!) in cui abbonda la comprensione reciproca e dove il capofamiglia è sì un fallito, ma piuttosto inaspettatamente è anche portatore di una concezione affrancata della vita (trasmessa evidentemente alla figlia) in contrapposizione alla bizzarra macchietta dello zio conservatore di estrazione alto-borghese.
Si viene così a delineare un quadro narrativo senza dubbio scioccante per l’abissale distanza dai rigidi clichè cinematografici del Giappone ante-guerra (Naruse neutralizza con perizia i sicuri problemi di censura dimostrando di padroneggiare una pungente leggerezza di tocco per certi versi accomunabile a Lubitsch).
Tuttavia, unitamente alle opere più esplicitamente corrosive dello sfortunato Sadao Yamanaka, questi rari esempi in netto contrasto con la direzione assunta dalla politica sociale e culturale del paese (votato all’imminente invasione della Cina, all’inevitabile alleanza con il nazifascismo europeo, e al fatale scontro con gli Stati Uniti) rimasero casi isolati e marginali in un crescente clima oppressivo che finì per condizionare pesantemente quella stessa fenomenale generazione di grandi maestri (si dovrà attendere quella dei vari Imamura, Oshima, Ichikawa per registrare accenni di autocritica sull'oscuro periodo storico pre-bellico).
Sul fronte estetico campeggia una scintillante modernità della forma, perché Naruse gira a tutti gli effetti come un Dio!
Nel suo stile, finalmente maturo, tutto è di sopraffina significanza poiché ogni elemento tecnico acquisisce una sua specifica funzione all’interno della sintassi filmica: dalle brusche ellissi temporali alla pregnante valenza segnica dei rapidi carrelli, dal ritmico utilizzo del fuoricampo al diegetico apporto della musica, dall’invisibilità del montaggio alla brillantezza dei dialoghi (quasi fossero desunti dai testi di un Ben Hecht).
L’autore evita accuratamente ogni manicheismo nella doppia dialettica tra città e campagna e tra borghesia e classe contadina, riverberando fluidamente i temi sociali all’interno delle dinamiche familiari in accordo con i tipici schemi del genere (insieme a Ozu, Naruse fu per oltre un trentennio l’esponente principale del shomin-geki).
Attivando, con il dono della trasparenza, le giuste corde di un toccante intimismo, l’autore nipponico eleva il lirismo del momento a delicato realismo poetico universale, con una maestria in ambito leggero che sta a dimostrare inequivocabilmente la raggiunta grandezza formale (capace nel dopoguerra di toccare altre vette di paragonabile levatura).
Bisogna infine sottolineare come l’opera e la figura di Naruse stiano tuttora scontando un’ingiustificata disattenzione in terra d’occidente, forse per il solo fatto di non aver potuto godere degli stessi sponsor critico/mediatici toccati in sorte a Ozu e Mizoguchi (quanto avrebbe meritato un suo personale “Tokyo-Ga”!).
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