Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film
Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Il superuomo Gerard Butler ibrida Steven Seagal (versione Casey Ryback di Trappola in alto mare) e Bruce Willis (ovviamente l’indistruttibile John McClane della saga Die Hard) salvando il mondo (cioè gli States) mentre è in una sorta di trance - adrenalinica, anfetaminica, messianica, sterminatrice - da videogame sparatutto.
L'Olimpo è caduto. Caspita. Quei birichini dei nordcoreani - che ad un certo punto spuntano da chissà dove (appunto: da dove?) numerosi come se fosse un ammodernamento del noto miracolo della moltiplicazione - in una decina di minuti mettono a ferro e fuoco quello che si presume essere il posto più protetto e sicuro dell’intero globo terrestre, ossia la Casa Bianca.
Agenti dei servizi segreti, poliziotti, militari, guardie, colpiti facilmente come birilli in una partita di bowling. Strike, strike e ancora strike. In continuazione. Pure lo spazio aereo è tranquillamente violato in un batter di ciglia di un glabro. Tutti a guardarsi increduli, gli ufficiali preposti colti di sorpresa, mentre i telegiornali trasmettono impietosi l’Apocalisse in diretta.
Non c'è più religione ...
Invece c’è: segue vie impervie, mette alla prova, pretende sacrifici, dà seconde opportunità. Dio benedica gli Stati Uniti d’America.
Amen.
Alla preghiera risponde il fedele Mike Banning, un passato che lo tormenta (si sente responsabile della morte della first lady avvenuta diciotto mesi prima), un presente lavorativo insoddisfacente, una gran voglia di spaccare teste, brandire coltelli, sputare pallottole, ergersi a salvatore della patria. Accontentato, la missione (per conto di dio) si rivela difficile ma catartica, colma di ostacoli ma anche di traguardi. Infine, compiuta: i cattivoni divorati come una belva famelica e il gran capo liberato e portato in trionfo (ma quale spoiler, orsù!).
Giustizia è fatta, i sensi di colpa sono lavati dalla coscienza, rinascere è possibile.
D'accordo, inutile pretendere latte genuino da una vacca ricca e gravida ma di peluche. Il gioco è noto, i giocatori anche, le regole pure. Ma è sempre meglio controllare le carte in tavola, non si sa mai. Bene, viste. A parte la necessaria sospensione dell’incredulità - che nello specifico evolve in radiazione a vita - il film non rappresenta davvero niente di nuovo. Anzi puzza di vecchio in ogni suo frammento: i meccanismi sono sempre gli stessi, clichè e stereotipi abbondano più che in una lacrimevole telenovela sudamericana, i personaggi si potrebbero scambiare con altre centinaia di opere simili, la storia è l’ennesimo condensato di paranoie, rivincite, violenze, sentimenti in salsa supereroistica e patriottica.
Si presentano così in una fiera delle banalità, oltre al prode paladino di turno, il traditore bastardo (la cui brutta fine è più scontata di un capo fuori moda in saldo), l’amata moglie del suddetto in trepida attesa di riabbracciarlo, il criminale spietato e intelligente (dote, quest’ultima, che svanisce in una nuvola di stupidità proprio sul più bello, mannaggia!), il militare d’alto grado che non capisce niente e vuole solo far entrare in azione gli specialisti (strike anche per quelli, tiè!), il figlioletto sveglio del presidente, e via via con altre pedine dello scacchiere già viste e digerite.
Immancabile, e irrinunciabile, il discorso finale di benedizione per gli USA, e ringraziamenti a tutti quanti. Ah, Butler ritorna felice felice al suo posto. Che uomo.
Se l’originalità sembra essere stata bandita per legge, latita anche l’ironia e il divertimento cialtronesco e chiassoso che contraddistingue, ad esempio, il sopra citato McClane.
Si aggiunga poi la presenza in cabina di regia di Antoine Fuqua - completamente configurato in versione da confezionatore di spettacolo fracassone e ignorante -, e allora il panorama è limpidissimo. Ritmo ansiogeno, messa in scena incasinata e casinista, prestazioni attoriali adeguate alla circostanza, schematismi rozzi ed elementari (anzi, da asilo nido), simbolismi sbandierati con vigoroso orgoglio (manca giusto l’infante che canta l’inno), consueta professionalità delle maestranze tecniche: il pubblico può ben guardare con fiducia e speranza.
Curiosamente, in un film che sprizza machismo da tutti i pori come questo e che vede naturalmente il suo baldanzoso alfiere nell’indomito Gerard Butler, a spiccare (tenuto conto delle parti assegnate) sono le donne, dalla sempre bellissima Ashley Judd (cameo che sa di ignominioso spreco) ad Angela Bassett (ormai, purtroppo, relegata in brutti ruoli di secondo piano), da Melissa Leo (chissà che pena recitare quelle battute ridicole) a Radha Mitchell (la moglie dell’eroe nonché infermiera dell’ospedale dove giungono vittime e feriti dell’invasione nordcoreana). Anche tra i cattivi ad emergere, se non altro per questioni estetiche, è l’esperta informatica interpretata da Malana Lea.
Alla fine si tratta di una tremenda prova di forza: arroccata nelle sue posizioni da trincea, con animo da guerrafondai conquistatori, Hollywood non cade mai né smette di lanciare i suoi ordigni travestiti da “innocui” film di cassetta.
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