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We Are What We Are

Regia di Jim Mickle vedi scheda film

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La recensione su We Are What We Are

di supadany
7 stelle

Jim Mickle, omaggiato al Torino Film Festival che nel 2014 proiettò tutti i suoi film, è un giovane autore in crescita e “We are what we are” era una sorta di prova di maturità dopo alcuni titoli promettenti come “Stake land” (2010).

Al di là del singolo apprezzamento, che può o meno esserci, è innegabile che la sua opera possieda una precisa identità non tanto per la trama, ripresa altrove, quanto per la forma e la solidità delle intenzioni.

In apparenza, i Parker sono una famiglia tranquilla, estranea alla vita condivisa della loro comunità e, nella loro casa, il patriarca Frank (Bill Sage) controlla ogni singola azione preservando le tradizioni di famiglia.

Peccato che il cardine fondamentale sia nutrirsi di carne umana!

Quando sua moglie muore, le figlie Iris e Rose cominciano a mostrare qualche cedimento nel seguire le regole di famiglia; nel frattempo, le autorità locali ritrovano delle ossa e le segnalazioni di persone scomparsa aumentano.

Il cerchio attorno alla famiglia Parker si stringe.

 

Bill Sage

We Are What We Are (2013): Bill Sage

 

Opera che riprende il film messicano “Siamo quello che mangiamo” (2010), trasmesso qualche volta da Rai4, senza voler fare dei parallelismi con l’originale, “We are what we are” non è un film banale e ha dei punti di forza notevoli.

In primis, l’atmosfera che riesce a prendere il sopravvento, pare quasi essere fuori dal tempo grazie alla fotografia e alle scelte scenografiche e ambientali, indubbiamente curate e scelte con un occhio particolare che non somiglia a null’altro.

Poi c’è la storia, tra rituali di famiglia e un segreto primordiale che viene perpetrato nell’oscurità con una fede deviata.

Una parabola sui mostri che si nascondono dietro una maschera di rigore, quelli più pericolosi in quanto insospettabili, soprattutto nelle piccole realtà di provincia dove tutti si conoscono e ci si pensa cento volte prima di dubitare di qualcuno.

Interessante l’inevitabile conflitto generazionale all’interno della famiglia Parker, con le più giovani ingabbiate in un doppio richiamo, quello della tradizione e quello relativo al desiderio di poter assaporare la propria vita.

Transizione che avviene tra efferatezze improvvise, ma niente affatto improvvisate, con sangue ben speso e un buon gusto in fatto di riprese che sanno coltivare le tempistiche e generare disagio.

Efficace il cast; Bill Sage è semplicemente marmoreo, Michael Parks preciso, Kelly McGillis ha il coraggio di mostrarsi anni luce distante dall’immagine che fu e le giovani Ambyr Childers e Julia Garner riescono a trasmettere un ampio ventaglio di (dis)umane sensazioni.

Come la storia, anche il film sembra fuori da ogni tempistica, si prende tutto il tempo che ritiene necessario, s’impenna tutto d’un tratto come poi sa ricomporsi per poi incendiarsi; sicuramente non banale, altrettanto pensato senza il bisogno di dover piacere ad ogni costo, in fondo è agghiacciante ma non vuole stupire se non di fronte alla sua omnipresente glacialità che sembra provenire dal peggiore degli inferi che si possa immaginare.

Opera non facile, ma tutt’altro che trascurabile.

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