Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film
Davvero imperdibile.
“Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi”, scriveva Ugo Foscolo nei Sepolcri, a proposito della relazione inscindibile fra il defunto e i cari che gli sopravvivono, i quali, attingendo agli insegnamenti e alla memoria di chi non c’è più, gli donano nuova vita. Ma se non esiste nessuno a piangere sulla lapide dell’estinto? O se addirittura una lapide non esiste? Still Life si insinua nei vuoti che concede la massima foscoliana. Il protagonista, il formidabile Eddie Marsan, con quelle orecchie un po' a sventola e l’espressione eternamente impassibile, sembra tanto un extraterrestre (o un angelo custode, un nume protettore delle Decedute Anime Dimenticate) planato sul nostro pianeta per adempire un solo preciso compito: fare sì che nessun defunto si perda davvero nello sterminato deserto cosmico dell’oblio. John May si accosta con delicatezza e financo con deferenza a tutte le storie di quegli sventurati che hanno visto calare su di sé una doppia sciagura, sia di morire sia di non avere nessuno a serbar il loro ricordo. Eppure, quanta vivezza si respira nelle loro abitazioni, nel loro passato, nelle loro fotografie, persino nei loro errori! Quanta dignità e quale altezza inesplorabile e sconosciuta nel concetto stesso di vita! Pur trattando di morte, e di solitudine, e facendolo con una fotografia cinematografica smorta, e coltri di silenzio insopportabile, quanto di più lontano c’è dal movimento della vita, Still Life accende per contrasto i colori più veri dell’esistenza. Still Life è un film triste, e senz’altro ha uno dei finali più tristi che si possano mai incontrare, d’altra parte è anche una delle più assolute e composte riflessioni sulla grandezza incommensurabile di un’esistenza, sul miracolo che ogni singola vita rappresenta.
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