Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film
Mi ricordavo Eddie Marsan come genero di Vera Drake nel film di Mike Leigh. Quel personaggio, che nel finale enunciava la "morale" del film, sembra rivivere, con le dovute differenze, in questo Still Life, diretto dall'italiano di Londra Uberto Pasolini, già autore dell'estroso Machan (2007). Tanto quel film - la storia di un gruppo di cingalesi che si finge l'inesistente nazionale di pallamano dello Sri Lanka per sbarcare in Europa - era vivace e colorato, quanto questo è di colori stinti e plumbei, appunto da natura morta (uno dei possibili significati dell'espressione inglese still life).
Dopo avere letto l'illuminante ed esaustiva opinione di spopola, non resta veramente granché da scrivere ulteriormente: dico solo che, guardando il film, anche a me risuonavano in testa i versi del Testamento di De André: «questo ricordo non vi consoli, quando si muore si muore soli».
Posso aggiungere che la prossima volta che qualcuno vorrà scrivere uno studio sulle figurae Christi nel cinema potrà inserire anche il personaggio di questo John May[1], che si annulla nella propria solitudine per evitare che chi è morto da solo tale sia lasciato anche nel momento dell'ultimo saluto. May, addirittura, muore solo, in mezzo alla strada, e viene sepolto, dopo un funerale solitario, nella nuda terra, in una sepoltura spoglia, dopo avere donato ad uno dei suoi "clienti" perfino la tomba che si era da tempo comprato in uno degli scorci più panoramici del cimitero. Dopo avere speso la propria professionalità e la propria umanità per i decessi degli altri, John May non ha nessuno al proprio funerale - nessuno che prepari un'orazione, nessuno che metta sul giradischi un brano musicale - e nessuno, se non i "suoi" morti, intorno alla propria tomba. Per quanto riguarda i vivi, sembra trionfare la logica del signor Pratchett, il gelido funzionario comunale incaricato di tagliare i rami secchi dell'amministrazione (forse in Italia alla spending review sui morti non ci siamo ancora arrivati), secondo il quale i funerali non servono ai defunti, ma a chi rimane, e quindi, se uno non lascia nessuno, sono inutili. Questo mondo per certi versi rovesciato, sembra, grottescamente, incarnarsi un'estremizzazione del concetto enunciato nei versi dei Sepolcri del Foscolo, secondo il quale «sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna».
[1] Per questo aspetto, il personaggio ricorda piuttosto la figura di San Francesco d'Assisi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta