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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Still Life

di supadany
8 stelle

Come lui stesso si definisce, Uberto Pasolini, è un regista quasi per caso, prima di tutto è un produttore, ma già con la sua precedente, ed unica, regia (“Machan”, 2008) non era per niente sembrato uno sprovveduto e con “Still life”, impegnandosi su più fronti (produzione, sceneggiatura e regia), offre una prova accurata, maneggiando un materiale insidioso da rappresentare.

Il solitario John May (Eddie Marsan) mette quotidianamente anima e corpo nel suo lavoro, occupandosi di rintracciare parenti ed amici di defunti che in apparenza hanno trascorso gli ultimi anni soli al mondo.

Quando viene licenziato, per tagli comunali ai costi, può portare a termine il suo ultimo caso, che lo tocca in qualche modo da vicino visto che si tratta di una persona che viveva proprio di fronte a lui e che non aveva mai conosciuto. 

Sarà una ricerca più approfondita del solito, più un nuovo inizio che una semplice fine.

 

Eddie Marsan

Still Life (2013): Eddie Marsan

 

A volte le idee arrivano quando meno te lo aspetti; per Uberto Pasolini tutto è nato dalla lettura di un articolo che raccontava di questi addetti del comune che, in caso di defunti senza nessun affetto, si impegnavano nella ricerca di qualcuno al mondo che potesse presentare al loro ultimo saluto a questa vita.

Materiale adatto per un interessante documentario, ma il regista riesce a fare un ulteriore passo avanti ricavandone una storia minimalista, ma anche molto personale che riesce nella primaria impresa di trovare i toni più consoni ed un’evoluzione significativa.

L’inquadramento è quello, veritiero e sconfortante, della solitudine soprattutto nelle caotiche vite delle grandi città, il soggetto centrale è un personaggio meticoloso, abituato da anni ad interiorizzare le emozioni, ma per questo suo impegno accantona il classico distacco che un lavoro del genere richiederebbe.

La sua (unica) famiglia sono i “clienti”, un’abnegazione alla causa non ripagata, troppo impegno comporta tempi lunghi ed ormai ogni minuto ha un costo, tanto più se si parla di individui abbandonati a se stessi.

E l’ultima sua missione lo vede mutato negli orizzonti, un incontro con una donna (Joanne Froggatt) gli trasmette una luce nuova che si va a sommare a tutta la ricostruzione eseguita sul caso in precedenza.

Se il film è ben organizzato, con una trama sviluppata con attenzione, sempre attento a non sbandare, è il protagonista a colpire nel segno, sempre presente in tutte le scene ed Eddie Marsan, per lo più conosciuto per le sue prove da caratterista comprimario (ad esempio i due “Sherlock Holmes” di Guy Ritchie), ben rappresenta la delicatezza e la complessità del suo quadro emotivo, anche quando con timidezza (“addirittura” alcuni liberatori sorrisi) pare giungere una possibile svolta.

E poi arriva il finale, un incredibile incrocio d’impatto devastante che appare la conclusione più appropriata, anche se probabilmente avrei evitato l’ultimo innesto che va un po’ oltre quando ormai era stata trovata una circolarità perfetta.

Si parla comunque di dettagli, i temi ricorrenti, solitudine e morte, sono affrontati senza patetismi e anzi con un profilo quasi surreale che non sminuisce i toni drammatici comunque addolcendoli e ricordandoci che non importa quando (e per quanto), ma si è sempre in tempo per cominciare a vivere veramente.

Di valore.

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