Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film
Questa nostra società non vuol sentir parlare di morte. Se essa esiste, va confinata in un angolo remoto, un luogo non frequentato e tollerato solo perché insopprimibile, ineliminabile.
Ma la nostra società è pronta a dimenticare anche chi non risulta attivo, perché non produce più ed è diventato ormai un peso che si vorrebbe scrollarsi di dosso.
E’ una società che guarda in una direzione e non vuole vedere tutto il resto.
Tuttavia, pur in questa tragica cecità o in quest’indifferenza, vi sono ancora scintille di umanità, bagliori di solidarietà, di sensibilità che, a volte, riescono a modificare, pur se limitatamente, la deriva del cammino verso il nulla, l’oblio.
Il protagonista della storia narrata da Uberto Pisolini è John May, (ottimamente interpretato da Eddie Marsan) un travet, fisicamente insignificante, un ometto grigio, abitudinario, timido, mite. Non nutre ambizioni di successo, non è un “rampante”, non è servile e non è ruffiano: tutti demeriti che gli sono valsi uno dei posti meno ambiti dal personale di un ufficio comunale londinese: deve occuparsi delle persone decedute in solitudine, ricercare eventuali familiari, organizzare le esequie.
L’ultimo gradino lavorativo che si assegna per occuparsi dell’ultimo viaggio degli “ultimi”: coloro cioè che vivono dimenticati, senza più sogni né speranze, aggrappati alle ultime stille di vita non vita: un album di foto di quando la vita era vita, una vecchia poltrona scassata, oggetti apparentemente insignificanti che sono stati gli ultimi amici di coloro che non ci sono più.
La loro esistenza è destinata all’oblio totale, se non fosse per questo ometto che, nonostante le “pecche” di cui sopra, dimostra una dedizione, un’attenzione per il proprio incarico che vanno forse al di là delle sue mansioni.
Queste sue caratteristiche recuperano e riallacciano, in qualche modo, i capi di un filo che si era spezzato.
John May ha rinunciato a vivere da tempo una vita sociale. Non ha affetti, non ha amici, non ha moglie né figli. La sua esistenza è quanto di più grigio si possa immaginare: un piccolo appartamento in un quartiere popolare londinese, un modo di vestire sempre uguale, un cibo sempre uguale. Non va al pub, non frequenta cinema, teatri o sale da ballo, non viaggia. Le sue ore libere le trascorre attaccando le foto dei “suoi” estinti su un album. Ogni sera lo sfoglia e fissa quelle foto, una per una. Qualcosa sembra trasmettergli questa sua abitudine. Qualcosa che sembra trapelare da quei volti. Qualcosa che vale forse come un’invocazione a non dimenticarli, una preghiera rivolta a lui, l’ultimo contatto vivente prima dell’oblio definitivo.
L’interesse che si suppone dovrebbe nutrire per la vita, lo prova invece per chi in vita non c’è più. Le emozioni che la vita quotidiana ci riserva sono sostituite da quelle che ogni nuovo decesso gli procura.
Dopo avere compiuto la visita rituale presso l’abitazione dell’estinto e raccolto alcuni oggetti che potrebbero servire per cercare eventuali contatti, prima di chiudere la porta dietro di sé, getta un lungo ed ultimo sguardo all’abitazione. Come per fissare nella memoria gli estremi momenti di una vita terminata, come per farli propri e non lasciarli nell’oblio. E’ ormai il custode di una moltitudine di affetti ed esperienze alieni che conserva nella memoria e che, non riuscendo a trasmetterli a possibili familiari o amici degli estinti, accetta di fare propri.
Quando gli viene comunicato che l’amministrazione comunale, per tagliare i rami secchi e improduttivi, dovrà fare a meno di lui, egli, invece di darsi da fare per cercare un’altra occupazione, si concentra in modo maniacale sull’ultimo decesso di cui deve occuparsi.
Questo comportamento non è per nulla strano, ma è perfettamente in linea con il personaggio. Non vuole per niente al mondo lasciare insoluto questo caso. Deve assolutamente trovare qualcuno che lo conoscesse e gli permetta quindi di riallacciare per l’ultima volta i fili che si erano spezzati.
I suoi sforzi sembrano avere successo; tuttavia, proprio quando pare che la vita sembri offrirgli una svolta insperata di vita vera, un incidente gli nega questa possibilità. Finisce sotto terra, dimenticato, solo, senza lo straccio di qualcuno che lo accompagni in questo ultimo viaggio. Saranno i “suoi” morti a rendergli l’estremo omaggio, appressandosi alla fossa, finale struggente e “giusto” di una storia di un uomo più interessato ai morti che ai vivi.
Un film diretto con mano leggera e sapiente, che affronta temi importanti e difficili, senza retorica e senza banalizzazioni.
Il regista ha indovinato la linea da seguire, senza affrontare direttamente le tematiche esistenziali, sociali e metafisiche che sono legate alla storia. E’ un compito che eventualmente spetta a noi e che viene svolto a seconda delle nostre personali convinzioni. Pasolini racconta in modo quasi neutrale una storia che è una ricerca oggettiva che poco a poco diventa personale e sembra cambiarlo.
Un film da vedere e su cui sarebbe bene riflettere.
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