Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film
Un tempo li chiamavano eroi senza volto, e di loro si parlava per ricordare che il progresso della Storia è il frutto di un quotidiano che non trova spazio nelle pagine dei libri, e nelle cronache dei giornali. A questa dimensione di operosità misconosciuta si rivolge Uberto Pasolini raccontando la storia di un impiegato comunale incaricato di rintracciare i familiari delle persone decedute in condizioni di assoluto abbandono. Con metodo certosino e maniere inappuntabili John May entra nella vite dei defunti riportandoli in vita attraverso la ricerca ed i ricordi di chi li ha conosciuti. Parenti, amici, semplici conoscenti sono passati in rassegna nella speranza di riaccendere un legame da tempo sepolto sotto i colpi di un’esistenza che ha fatto terra bruciata d’amore e sentimenti. Tra qualche risposta positiva e molti dinieghi l’uomo si ritrova spesso solitario ed impotente ad assistere alle esequie religiose di quegli sfortunati. La singolare routine viene però interrotta dall’annuncio della chiusura dell’ufficio che avverrà al termine di un ultimo caso. Un lungo addio che John May trasforma in una questione personale, e forse nell’inizio di una nuova vita.
Produttore di successo e poi regista dal cote' autoriale, Uberto Pasolini conferma la predilezione per una geografia umana distante dai modelli vincenti e glamour di certo cinema commerciale, e per situazioni che spingono i personaggi verso cambiamenti radicali. Così accadeva agli operai disoccupati che si inventano stripper in "Full Monthy", e prima ancora ai soliti ignoti della provincia americana pronti a svaligiare una banca con pistole giocattolo ("Palokaville" di Alan Taylor, sempre prodotto da Pasolini), per non parlare per il gruppo di amici di "Machan" pronti ad inventarsi una squadra di pallamano nazionale per espatriare in Europa ed emanciparsi dalla povertà del proprio paese. Una tendenza che "Still Life" ripete solo in parte, perché se è vero che una cesura narrativa esiste, ed è importante nell'economia esistenziale del personaggio, qui la svolta si verifica partendo da premesse opposte, con la condizione di anomalia (il lavoro di John May ma anche la sua situazione di isolamento rispetto all'universo dei vivi) che non è - come nei film precendenti- conseguenza ma piuttosto premessa al cambiamento. Pur trattando una materia che si confronta con la morte, Pasolini evita qualsiasi trascendenza riconducibile al dogma religioso, con un utilizzo "burocratico" dell'apparato ecclesiastico - il rito funebre ed i suoi officianti- e dei dettagli della vita quotidiana, parliamo ad esempio degli stacchi sul desco preparato dal protagonista raffigurati come dipinti di nature morte (in inglese Still Life) che servono a rafforzare un punto di vista tutto laico sui significati di quella vicenda. Adattandosi ai ritmi compassati ed alla staticità emotiva del personaggio, il regista privilegia inquadrature a camera fissa e riprese frontali, con campi medi che nel rapporto opprimente tra ambiente (il posto di lavoro ma anche l'abitazione) e personaggio rappresentano visivamente la separazione emotiva del protagonista rispetto al paesaggio circostante. Ciò nonostante "Still Life" evita atmosfere da de profundis scegliendo i toni di una malinconia soffusa che si stempera nella silhouette tragicomica del John May di Eddy Marsan, un monsù travet che ha le movenze dell'Epifanio di Antonio Albanese, e la dignità di un carattere dostowieskiano. Contraltare alla sfrontata opulenza del periodo natalizio, "Still life" è un viaggio nella solitudine contemporanea che riserverà molte sorprese.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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