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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Still Life

di alan smithee
8 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2013 -ORIZZONTI
Dopo il simpatico Machan, torna in veste di regista il produttore Uberto Pasolini in una insolita coproduzione italo-inglese che rivela sin dall'interprete (eccezionale) una natura ed uno stile (oltre che un'ambientazione che non lascia dubbi) decisamente più anglosassone che nazionale.
La storia triste ma piena di speranza, e quindi di vita ed umanità di uno scrupoloso impiegato del comune che si prodiga a dare degna sepoltura a coloro che muoiono senza discendenza, senza un'amicizia o anche solo qualche vago conoscente disposto a seguirli nell'ultimo saluto, è prima di tutto e a prima vista la storia di una ossessione quasi maniacale a compiere fino in fondo un lavoro decisamente particolare e apparentemente superfluo o poco produttivo.
Una corsa allo scrupolo e al dettaglio più minuzioso che in una società portata avanti da regole basate sul profitto e sulla produttività più esasperata, conducono inesorabilmente un funesto giorno l'ente statale a provvedere ad un taglio netto e senza ripensamenti: infatti, per le solite evidenti ragioni di costo, il servizio assolto impeccabilmente dallo zelante impiegato, viene reputato superfluo ed improduttivo e dunque eliminato senza possibilità di appello. John May, questo il nome del nostro protagonista, accoglie senza apparente sorpresa la notizia e la sua unica preoccupazione rimane quella di portare a termine l'ultimo dei suoi "casi" rimastigli da curare: un vicino di casa deceduto improvvisamente ed apparentemente senza parenti prossimi, a cui invece l'uomo provvederà a riunire per l'ultimo saluto tutta la famiglia sparsa ormai lontano; riavvicinando così almeno nel ricordo un rapporto ormai annientato tra un padre distante fisicamente e mentalmente ed una figlia che, pur in ritardo, imparerà grazie a quell'intervento, a rivalutarlo. Un film agro-dolce dove la tragedia e l'ironia crudele ma ineluttabile della vita finiscono per avere la meglio, conferendo al film un tono verghiano intriso di pessimismo da una parte, ma anche un più ottimistico senso di tardivo riscatto grazie all'azione silenziosa e sottotono di un anti-eroe umile, onesto e silenzioso, discreto e concreto nel suo impegno  instancabile.
Eddie Marsan, maschera asimmetrica su un corpo piccolino assai lontano da ogni timido cenno di armonia e bellezza, trova con Uberto Pasolini il ruolo che lo eleva finalmente a protagonista assoluto dopo decine e decine di caratterizzazioni per lo più indimenticabili in cui fino ad ora ha alternato senza mezze misure personaggi cattivissimi o buonissimi, malignità perversa o umanità più benevola.
Un film delicato e gradevole, in grado di lasciare un segno, o almeno un cenno di emozione nell'animo dello spettatore che ha voglia di minimalismo e sentimenti trattenuti, ma anche di perdersi in una storia senza eccessi e senza clamori; una vicenda di un piccolo uomo mite, di un timido e sensibile traghettatore di anime dimenticate verso l'eternità.

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