Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film
A dispetto del cognome (nessuna parentela con il più celebre Pier Paolo; ma, in compenso, è il nipote di Luchino Visconti), di norma Uberto Pasolini non richiama propriamente folle oceaniche in occasione dell'uscita dei suoi film (sebbene, in veste di produttore, sbancò al botteghino con Full monty). Per cui la funzione del passaparola diventa essenziale. Di bocca in bocca, l'aggettivo che è arrivato ripetutamente alle mie orecchie è stato "poetico". Va bene, allora vediamo questo film "poetico". Ottantotto minuti (questo il maggior pregio del film: dura relativamente poco) che garantiscono l'orchite anche al più indomito collezionista di film di Antonioni, Kaurismaki e Tarkovskj. La storia è quella di un impiegato del comune che, quando arrivano i tagli alle casse pubbliche, arriva al suo ultimo compito: quello di trovare, per l'ennesima volta, i parenti più prossimi al morto, nei casi di gente trapassata in solitudine. Tutto è costruito per apparecchiare la scena finale, con una tirata quasi in tempo reale e con ritmo assolutamente monocorde che tra musiche rarefatte e scene pensate ad arte per essere fotografate ci squaderna il suo teorema sulla vita (del protagonista) che nasce dalla morte (degli altri). Così il film arranca ripetendo continuamente lo stesso modulo e affidandosi a un attore inespressivo come Eddie Marsan, che con quella faccia da museo degli orrori era molto più credibile in parti come quella, crudelissima, che gli fu affidata in Tirannosauro. Da segnalare che, nella miriade di ovazioni che la critica ha tributato all'opera seconda di Pasolini (la prima fu Machan), la sola voce dissonante è stata quella (peraltro straniera) di Internazionale, che ha bollato il film come paccottiglia tutta alla ricerca dell'effetto lirico. Tutti gli altri hanno gridato al capolavoro. Quindi regolatevi...
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