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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Still Life

di laulilla
6 stelle

La "Spoon River" dei perdenti

 

Alcune premesse letterarie, tanto per (non) cambiare.

 

Che tutti siamo, volenti o nolenti, destinati a morire è dura ma ineluttabile realtà. Che non sia molto diversa la fine di chi è morto circondato dagli affetti (che in vita ha saputo o potuto costruire attorno a sé), dalla fine di chi è rimasto solo e abbandonato da tutti, è diventato un luogo comune, così come lo è l’affermazione che le tombe servano ai vivi e non ai morti, se non spieghiamo in che modo servano ai vivi.
Qui ci soccorrono i celebri versi di Ugo Foscolo, talvolta impropriamente citato a proposito di questo film:

 

Dal dí che nozze e tribunali ed are

diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina. (Dei Sepolcri v. 91-96)

 

Ci dice il poeta che i riti della sepoltura costituiscono una tappa fondamentale di quel processo di incivilimento che ha distinto gli uomini (umane belve) dagli altri animali, nel momento in cui - contrapponendosi all’energia che, trasformando la materia, distrugge allo stesso modo ogni essere vivente - si è cominciato a distinguere fra natura e storia, proprio grazie a quei riti funebri che permettono ai vivi di tributare a ciascun defunto, ricco o povero, buono o cattivo, il rispetto dovuto alla sua individuale unicità.

 

Oltre a questo, è presente nel film, almeno secondo me, un altro riferimento letterario: l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, che ci ha detto, attraverso la verità raccontata dai sepolti sulla collina di Spoon River, come non sempre sia possibile trovare il modo per farsi amare, così come non sempre sia stata di tutti la possibilità di realizzare i propri progetti, cosicché, spesso, molti hanno imboccato e percorso strade che mai avrebbero immaginato, poiché è il caso il vero dominus della vita di ciascuno.

 

Il film

 

Il duplice richiamo letterario aiuta a capire questo  film, che è, solo apparentemente, la rappresentazione di uno strano protagonista di nome John May (il bravissimo Eddie Marsan).

Egli svolgeva un insolito lavoro per conto della municipalità di South London che si era fatta carico della sepoltura dei perdenti (ovvero di coloro che morivano soli e abbandonati), conducendo accurate ricerche per ricostruire la loro personale vicenda umana. 

Attraverso la sua indagine meticolosa – si direbbe maniacale - grazie a qualche vecchia fotografia, o a qualche breve scritto, o ai ricordi di coloro che li avevano conosciuti – John faceva emergere la loro dignità calpestata dagli scherzi del destino o dalla noncuranza frettolosa dei loro simili.

 

Il film diventa, in tal modo, la descrizione del mutamento, nella percezione generale, del significato della morte – e perciò stesso del valore della vita – proprio quando le pubbliche istituzioni londinesi, dominate dal cinismo dell’utilitarismo efficientistico, vogliono sospendere il servizio di John May, ignorando deliberatamente che risparmiare su certe spese, in realtà, cancella la pìetas, trasformando il cosiddetto “taglio dei rami secchi” in un vero impoverimento della civiltà, che potrebbe riportarci alla barbarie delle umane belve di foscoliana memoria.

 

 

 

Il film si sviluppa mantenendo sempre toni minimalisti – nella narrazione sobria e nei pallidi colori – che ben si addicono al personaggio di John May, l'oscuro e scrupoloso impiegato che non tralascia alcun indizio, per dare ai “suoi” defunti solitari un saluto affettuosamente umano, quasi un’ultima chance per farli sopravvivere ancora in attesa che qualcuno ricordi…

 

Un doppio finale per questo film:

 

il primo è l’inopinato e tragico incidente (sopraggiunto quando la speranza di una svolta positiva della sua vita sembrava prospettarsi a John) che provoca la morte del protagonista,  distruggendone le fantasticherie, e condannandolo a morire solo, lontano da tutti e sconosciuto nello squallore di una periferia urbana, come gli scomparsi  a cui aveva dedicato la propria affettuosa solidarietà

Non rivelerò il secondo, ma aggiungo che non mi è sembrato, come ad altri, consolatorio, poiché semmai ribadisce, con le immagini del festoso corteo che ne segue la sepoltura, il nichilismo che ispira il film e lo attraversa per tutta la durata.

E’ un buon film, triste, ma non troppo.

La sottile vena ironica che lo percorre spinge gli spettatori al sorriso indulgente verso il protagonista solitario, animato di civile rispetto nei confronti di chi è stato maggiormente colpito dagli oltraggi del destino..

 

Uberto Pasolini – regista con un passato da produttore (Full Monty), pronipote di Luchino Visconti – ottenne per questo esordio il premio della sezione Orizzonti a Venezia nel 2013.

 

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