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Il grande quaderno

Regia di János Szász vedi scheda film

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La recensione su Il grande quaderno

di OGM
7 stelle

I bambini alle prese con la disumanità. Quella a cui assistono, che subiscono sulla propria pelle e che finiscono per imparare. Nell’Ungheria del secondo conflitto mondiale due gemelli vengono affidati dalla madre all’anziana nonna, che vive in un casolare in campagna, dove conduce un’esistenza solitaria e assai spartana. La donna, che non è ben disposta nei confronti della figlia, riverserà il proprio rancore sui nipoti, costringendoli a compiere lavori pesanti, e maltrattandoli in ogni modo. Sarà quella strega  a farli diventare adulti: combattenti, più che uomini, educati secondo i duri principi della lotta per la sopravvivenza, che includono il cinismo e l’indifferenza. Il romanzo di Agota Kristof colloca i due protagonisti, due ragazzini senza nome e di poche parole, in un contesto piccolo e isolato, ed attraversato da forze esclusivamente negative, che si manifestano in violenza e perversione, in slealtà ed opportunismo. La civiltà è lontana, in quell’ambiente rurale in cui mancano il cibo e tutti i generi di prima necessità, mentre, lì vicino, un recinto di filo spinato delimita un campo dove avvengono fatti sconosciuti ed inquietanti. I due ragazzini osservano tutto con la massima attenzione, perché ciò che accade deve essere messo per iscritto: è il compito che ha affidato loro il padre, prima di partire per il fronte, consegnando loro un quaderno composto di grandi fogli bianchi.  Descrivere e raccontare è come vivere le esperienze una seconda volta, in maniera più completa e consapevole. Riproducendo la realtà la si capisce con maggiore profondità, fino a condividerne le assurde ragioni. I due osservatori sono prima esegeti, poi veri e propri interpreti di un momento storico e di una situazione sociale e familiare in cui sono saltate le leggi del sentimento e le regole della morale,  perché la guerra ha sciolto ogni legame, tanto che esistono, ormai, solamente nemici da sconfiggere.  Soltanto loro due rimarranno uniti, fino all’ultimo, resistendo all’imperante disgregazione, però assimilandone lo spirito velenoso, che sparge ovunque odio, sopraffazione e dolore. La favola nasce nell’orrore, ma lascia che il suo spettro la avvolga con la morbida gradualità tipica delle filastrocche, nelle quali il senso complessivo si costruisce poco a poco, lungo il filo dei versi e con l’incalzante ripetitività del ritornello. Bisogna abituarsi ad un mondo cattivo, ed imparare a stare al suo sgradevole gioco: è questo il terribile concetto ribadito con tanta insistenza, un’idea che scandisce l’amaro percorso  di formazione di due ragazzini costretti a vedere la perdita dell’innocenza come una sfida fondamentale e decisiva. Il loro traguardo è superare ogni debolezza, compresa quella legata alla sensibilità che genera compassione. Per loro, il limite del sopportabile si sposterà sempre più in là, fino a comprendere le più atroci forme di distruzione. È un seme devastante quello che attecchisce nel terreno vergine e fecondo dell’infanzia: e il film di János Szász lo fa germogliare nel silenzio dei pensieri senza voce che si affidano alla carta  e che si leggono, furtivi e incerti,  negli sguardi.

 

Il grande quaderno ha concorso, come rappresentante dell’Ungheria, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.  

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