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Oldboy

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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La recensione su Oldboy

di supadany
7 stelle

Di remake, oggi come oggi, siamo abituati a vederne tanti, in questo caso però si gioca con il fuoco, visto che si va a “toccare” una grande opera d’autore quale è, a tutti gli effetti, l’originale di Park Chan Wook, tra l’altro, per la natura stessa del soggetto, si fatica anche a definirla come mera operazione alimentare, ovvero nata con l’intento di guadagnare, dato che non siamo certo nei lidi di un prodotto destinato ad acchiappare il consenso del pubblico formato “multisala”.

Un prodotto insolito che trova nell’inevitabile paragone con l’originale il suo (principale) tallone d’Achille.

Joe Doucett (Josh Brolin) ha una vita a pezzi e dopo l’ennesima nottata di baldorie si trova rinchiuso in una stanza dove rimane relegato per vent’anni, mentre all’esterno viene accusato dell’omicidio della moglie.

Improvvisamente un giorno si ritrova libero, ormai uomo completamente diverso da quello di prima, cerca di risalire all’identità dei suoi rapitori per vendicarsi.

Avrà le ore contate per scoprire i perché di quanto gli è successo, pena non rivedere più sua figlia.

 

Josh Brolin

Oldboy (2013): Josh Brolin

 

Dopo il fallimentare “Miracolo a Sant’Anna” (2008), si sono perse le tracce di Spike Lee, tra alcuni documentari di medio lignaggio e lungometraggi di finzione in tono minore che hanno avuto pochissima fortuna.

Ricompare (anche) dalle nostri parti con un remake sulla carta improponibile, di un film che vanta svariati seguaci (non ultimo Quentin Tarantino che con Spike Lee non va proprio d’amore e d’accordo) e quindi accolto con i fucili puntati.

La trasposizione a stelle e striscie gioca su eccessi più elementari, violenza e brutalità, fisiche e psichiche che esse siano, sono numerose, ma trattate con meno virtuosismi, tecnici e pratici, una costruzione con assai meno voli pindarici, più afferrabile, con connotati più marcati nella natura dei personaggi (vedi il tratto di Joe nelle prime battute) e la ricerca di un impatto emotivo comunque forte, ma prettamente tangibile.

Tutto ciò è emblematico nel confronto finale, devastante per ciò che accade, ma se confrontato con il pezzo originale anche meno delirante, almeno nel suo complesso.

Ragionando in tono minore, pur non lasciando germinare il “non detto” (tutto viene precisato nei dettagli) rimane un film forte e determinato da una mano, quella di Spike Lee, che non si è dimenticata come si fa a girare un film (ed impressionare, citando ma anche andando per una sua strada), con un protagonista di spessore qual è Josh Brolin (che va detto perde comunque il confronto diretto col capostipite), con una spalla femminile con la giusta dose di bellezza ed ingenuità (Elizabeth Olsen sembra una gemma da tutelare), un Samuel L. Jackson macchiettistico (ma la “macchia” gli viene comunque discretamente bene) ed un villain (Sharlto Copley) che invece paga dazio un po’ per tutti, ma non solo per demeriti propri (laddove l’originale si elevava, qui si cerca la scorciatoia).

Opera discutibile fin dalla sua genesi, è comunque per chi scrive un film da vedere (al massimo per arrabbiarsi), chiaro che prima di tutto trovo inevitabile gustarsi il capolavoro coreano, metro di paragone dal quale Spike Lee, che spero di ritrovare un giorno alle prese con un gran bel progetto personale (come ai bei tempi), non può rifuggere nonostante l’impegno, ed a tratti la classe, non gli sia mancata.

Discreto (ma nel giudizio si può passare dalle stelle alle stalle con poco in casi come questo).

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