Regia di Dino Risi vedi scheda film
Uno dei film di maggior successo girati da Dino Risi e Vittorio Gassman negli anni 70 e non solo, "Profumo di donna" resta opera emblematica, ricca di idee e di spunti, uno dei film che segnarono il passaggio della commedia all'italiana a tematiche più gravi e amare, mescolate con scene dal sapore boccaccesco e un po' scollacciato tipico dell'epoca in un impasto ancora efficace ed attraente che, però, a tratti mostra un po' la corda. Il film è un adattamento, a quanto pare molto fedele, del romanzo "Il buio e il miele" di Giovanni Arpino, scrittore oggi un po' dimenticato, che circa vent'anni dopo ebbe un remake americano con Al Pacino che per il pubblico più giovane ha finito di soppiantare l'originale. "Profumo di donna" non è soltanto un veicolo divistico per Gassman, è un film che si sforza di costruire uno studio di carattere approfondito e certamente non conformista sullo schema del Road movie, ripreso fedelmente da "Il sorpasso", girato circa dieci anni prima. Il personaggio è sgradevole e per nulla conciliante, caustico e a tratti velenoso, e si rivela una delle migliori occasioni mai avute sullo schermo da un Gassman che tuttavia gli conferisce un rilievo umanissimo e non tende a strafare come in altre occasioni: la performance risulta perfettamente calibrata, credibile e anche tecnicamente magistrale, dovendo simulare una cecità senza calcare inutilmente la mano sull'effettismo. La sceneggiatura insiste molto sulle pulsioni sessuali del colonnello non vedente, inserisce una digressione a Genova con una puttana interpretata da Moira Orfei, dove Gassman ha pure l'occasione di "abbordare" un travestito a cui indirizza qualche insulto omofobo per dimostrare la sua virilità, poi una scena abbastanza lunga in un night a Roma, poi la parte napoletana in cui il colonnello rifiuta l'amore della giovane di cui teme la pietà e si diverte a "guardare" o palpeggiare le nudità delle amiche: il rischio è quello di scivolare nell'aneddoto di grana grossa che anticipa di pochi anni l'arrivo della commediaccia pecoreccia, e la presenza di Alvaro Vitali in un piccolo ruolo non sembrerebbe affatto casuale. Anche il mezzo lieto fine forse non è esattamente memorabile, e non sono riuscito a capire quanto sia fedele o meno alla pagina di Arpino. Tuttavia il film compensa con immagini sempre molto curate e una vitalità nei dialoghi e nelle ambientazioni che riporta con prepotenza il tocco di Dino Risi, la sua conoscenza dei tempi cinematografici, la sua disponibilità ad andare incontro ai gusti di un pubblico intelligente, sia quello popolare che quello più "intellettuale". Detto a sufficienza di Gassman, Alessandro Momo risulta una presenza simpaticamente goffa ma tutto sommato funzionale; mi è sembrato un po' pleonastico l'utilizzo in alcune scene della voce off del personaggio di Ciccio, ma il romanzo è comunque narrato in prima persona dal giovane militare, quindi si direbbe un tocco di fedeltà alla scrittura letteraria. Agostina Belli era bellissima da vedere e, doppiata da Vittoria Febbi, se la cava dignitosamente come attrice, anche se Risi non le richiede poi molto. In fin dei conti un titolo ormai imprescindibile della nostra cinematografia anni 70, un'esaltazione del vitalismo di fronte al cupio dissolvi dettato dall'angoscia della disabilità, una pellicola divisa in maniera contraddittoria fra scelte di linguaggio moderne e tentazioni commerciali. E una menzione d'onore allo splendido, lirico ed emozionante commento musicale di Armando Trovajoli che da' vigore soprattutto alle parti più drammatiche.
Voto 8/10
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