Regia di Dario Argento vedi scheda film
Dario Argento è il più famoso regista di genere in Italia che è ancora in vita. Non sono esperto della sua produzione avendo visto appena due film, ed inoltre in ambito thriller-giallo-horror italiano, mi sono dedicato tempo fà al recupero delle pellicole del mai troppo compianto Lucio Fulci, quindi tale regista non è mai stato in cima alla lista dei recuperi.
Approfittando però del clamore intorno al remake di Suspiria di Guadagnino presentato a Venezia, avevo deciso di rivedere Profondo Rosso (1975), la cui mia prima visione risaliva ad oltre 6-7 anni e non avevo ricordo molto positivi, per via del fatto che volenti o nolenti, il cinema è cambiato ed i gusti di noi spettatori giovani si sono formati in base a tutt'altro linguaggio filmico e stili di regia.
La fortuna della suddetta pellicola, sta nel miscelare insieme il giallo (un'indagine su un killer che ha ucciso brutalmente una medium, che è la trama portante del film), thriller psicanalitico, horror e siparietti da commedia sentimentale tra il protagonsita pianista Marc Daily (David Hemmings) e Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), che grazie allo stile del regista sono tenuti insieme.
La sceneggiatura non è perfetta ed ha dei problemi nel far quadrare i vari pezzi dell'indagine, ma ha il merito di unire sapientemente il lato realistico della vicenda, come l'ambientazione di Roma con il lato surreale-fantastico della torbida vicenda (senz'altro l'elemento più riuscito). Ci troviamo medium che sentono la presenza di omicidi, un uso ossessivo della soggettiva del serial killer, una colonna sonora moderna che ripete ossessivamente il medesimo motivo e sopratutto, le scene d'omicidio che sono spogliate della loro carica di realismo, poichè il regista sembra concepirli come veri e propri rituali, dove grazie al suo stile visivo, spinge sul pedale della brutalità degli strumenti di morte (mannaie, acqua bollente e coltelli affilati) con tanto di copioso sangue, tinto di un rosso molto carico e mai così ipnotico, con un effetto quasi irreale in cui ci si può specchiare addirittura.
A distanza di qualche decennio, gli effetti di Carlo Rambaldi, seppur saggiamente impiegati, magari in alcuni frangenti nei lati più gore, mostrano chiaramente il fianco, come ad esempio nella scena di morte di un personaggio in strada e poi nel finale; Argento indugia troppo con la macchina da presa, e rende un pò troppo palese l'effetto pupazzoso, ma è uno scotto da pagare per avere comunque un pò di sano e brutale sangue, quando oggi purtroppo sta venendo sostituito anch'esso da un'ignobile CGI, che toglie ogni presenza di disturbo nello spettatore.
Altro punto debole del film risulta essere la direzione degli attori, colpa anche dei dialoghi abbastanza anonimi (quando và bene) e di siparietti comici tra la Nicolodi e Hemmings, che sono abbastanza stupidi, poichè il regista non è in grado di costruire uno scambio di battute quanto meno efficace tra i due.
Questa recitazione straniata e calcata da parte degli attori, ha però il pregio di amalgamarsi con la malsanità della messa in scena. Il regista non ama gli ambienti larghi e ariosi, ma nelle scene in esterna, preferisce piazze o strade, che sono strette e sporche, per dare una sensazione di chiusura dello spazio. Il massimo lo raggiunge con l'inquietante villa diroccata e abbandonata, piena di erbacce tipica di certe zone di Roma, creando una messa in scena urbana tutta europea che rende questo film originale e differente dai thriller d'oltreoceano che hanno ben altra concezione dello spazio cittadino (e per questo a prima visione non mi piacque molto).
Fortunatamente lo stile di Argento è in primo piano (geniale la risoluzione dello specchio nel corridoio, a prima visione non ci fà mai caso nessuno, perchè siamo indotti a correre verso il cadavere, mentre per risolvere la matassa immediatamente, bastava guardare bene attorno), tanto da riuscire a mettere una pezza qua e là ai vari difetti del film (che vive molto gli anni 70').
Peccato che poi con il tempo lo stile sia scomparso del tutto, la visionarietà viene abbandonata, l'estetica si fà sciatta, l'impostazione resta quella prettamente anni 70' e i difetti non solo permangono, ma si decuplicano; con il risultato di ottenere una schifezza immane come Il Cartaio (2004), che è l'unico altro film di Dario Argento che ho visto per ora.
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