Regia di Dario Argento vedi scheda film
Argento reinventa le regole del thriller italiano e ci riporta in uno stadio di paura primordiale.
Il film più celebre di Dario Argento, il film che lo consacrò e che portò il suo nome accanto a quelli dei più grandi maestri del brivido. Un coltello sporco di sangue e i piedi di un bambino riempiono la prima, terrificante inquadratura, rafforzata da un inquietante nenia infantile; subito dopo le immagini si dissolvono, lo schermo si oscura e la nenia infantile lascia il posto al celebre tema composto dai Goblin. Così parte il film di Argento.
La scena dopo è ambientata in un lussoso teatro, nel quale si sta tenendo una conferenza sulle capacità nascoste della mente, capacità che permetto a chi le possiede di percepire i pensieri delle altre persone. A questa conferenza assiste uno spettatore particolare, uno spettatore che non può permettere che i suoi pensieri, le sue intenzioni e i suoi ricordi vengano alla luce. Per questo motivo avvengono i primi omicidi. Un pianista si trova, per volontà del puro caso, ad essere coinvolto in questa macabra storia caratterizzata dal profondo colore del rosso sangue, poichè tutti i personaggi che scoprono l'identità di questo misterioso assassino, riconoscibile solo per un impermeabile scuro, vengono barbaramente uccisi.
La cosa che mi ha colpito di più del film è essenzialmente la prima mezz'ora, nella quale la regia di Argento è la vera protagonista, che ci trasporta in alcune situazioni che, seppur poco credibili, inquietano e terrorizzano.
Dopo il primo fantastico omicidio, Argento purtroppo intraprende la strada che meno gli si addice, affidando buona parte del film ad una sceneggiatura costituita da dialoghi abbastanza mediocri e da vari tempi morti che stemperano in un modo decisamente poco elegante l'inquietante atmosfera che si era venuta a creare precedentemente.
Successivamente il film acquista nuovamente potenza quando il misterioso assassino guantato entra con prepotenza, ma anche con eleganza, nelle varie scene e che porta lo spettatore in un profondo stato di terrore e, almeno nel mio caso, di stupore e meraviglia, perché guardando Profondo rosso il terrore che ho avvertito è stato pari all'eleganza con la quale Argento lo ha messo in scena.
Il film si conclude con la sconvolgente e geniale soluzione finale che, finalmente, rivela in mezzo ad una grande varietà di facce, in mezzo ad una grande composizione di volti, la vera identità dell'assassino.
Profondo rosso è un film che indubbiamente porta i segni del tempo, soprattutto nelle scene di violenza, ma è ancora in grado di riportare le sensazioni di chi lo guarda in uno stadio di paura primordiale, una paura che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato.
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