Regia di Dario Argento vedi scheda film
Deep Red, il film più famoso e acclamato di Dario Argento, è una pellicola imprescindibile per il cinema italiano di genere, grande rappresentante del giallo all’italiana ed esempio universale di thrilling, famoso anche all’estero e ancora oggi metro di paragone di tale genere cinematografico. Costruito in maniera impeccabile seguendo una pista mossa sul sottile confine tra realtà e ricordo, si nota un solo punto debole, per fortuna poco evidente, che riguarda un passaggio un po’ artificioso della trama (rimane infatti abbastanza oscuro il legame tra la scrittrice Amanda Righetti e l’assassino e il modo in cui sia venuta a conoscenza dei fatti avvenuti nella Villa del bambino urlante) ma, in questo caso, come detto passa in secondo piano e non mi impedisce certo di riconoscere la grandezza di questo thriller nostrano costruito e diretto in maniera impeccabile dal Dario d’Italia, giostrando un parco di ottimi collaboratori e delle risorse limitate ma sfruttate al meglio. Le scenografie e la fotografia sono di primo piano e riescono a costruire una Torino neo-gotica e notturna, a tratti surreale (una cosa che ho notato è stata l’immobilità delle comparse, le quali sembrano tanti manichini inanimati che aggiungono una nota onirica all’ambientazione, non so fino a che punto voluta ma insolitamente efficace e accattivante), con arredi e abiti curati e un uso espressionista dei colori, quasi a rimarcare la sottile linea di demarcazione fra realtà e sogno, sogno capace di tramutarsi in un battito di ciglia in un vero incubo, merito della fantastica colonna sonora dei Goblin e della regia avanguardistica che sembra essa stessa spiare il protagonista, pronta a colpirlo alle spalle da un momento all’altro. Le scene splatter sono centrali per importanza nel cinema di Argento e qui il suo tocco macabro e grandguignolesco è efficacissimo e di forte impatto sullo spettatore, merito anche degli effetti speciali di Germano Natali e di Carlo Rambaldi e di una violenza per fortuna non ancora fine a sé stessa. Profondo Rosso, oltre ad essere un esempio di alta fattura nella costruzione della trama e nell’intreccio, è un film sulla psicosi e sulla malattia mentale nate nell’infanzia ed esplose nell’età adulta, caratteristica che rende il tutto più inquietante, grazie anche ai dettagli morbosi che pervadono la pellicola, come la cantilena infantile che preannuncia gli omicidi, il pupazzo meccanico che appare al prof. Giordani poco prima che questi muoia, il libro di leggende metropolitane connesso alla Casa del bambino urlante, la bambina che tortura gli animali e il disegno dell’omicidio, tutte componenti che rendono Profondo Rosso un film malato e delirante, sostenuto dalle buone interpretazioni di David Hemmings, Gabriele Lavia, Daria Nicolodi, Glauco Mauri e Clara Calamai, dagli indizi apparentemente privi di significato di cui la pellicola è disseminata e dalla regia tesa e ansiogena che costruisce scene tiratissime come nel caso della famosa sequenza del tentato omicidio di Marc Daly, nella quale le note del pianoforte rispecchiano perfettamente il suo stato d’animo, tutti elementi che fanno di questo film un’opera dall’atmosfera unica e sanguinolenta, un manifesto programmatico del giallo all’italiana.
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