Regia di Dario Argento vedi scheda film
D’obbligo è la scontata premessa: Profondo rosso non è un mediocre horror, bensì un gran bel thriller (ma non potrei certo io affermare se sia il migliore, o no, di Argento) confezionato con maestria e buon gusto per lo splatter (il quale, però, costituisce giusto un elemento di contorno. Diciamo, l’ impronta scabrosa - per l’epoca - del regista).
Il film - è vero - procede in maniera un po’ caotica e frammentata, ma la “slabbrata” progressione del racconto (rebis) viene indiscutibilmente oscurata dalla malia esercitata dal coagulo di una serie d’intuizioni da vero “maestro del brivido”. La nenia fanciullesca quanto funesta; le ossessive inquadrature di fantocci traumatizzati (e traumatizzanti), nonchè l’atmosfera cupa, gotica, evocata dalla fotografia notturna vagamente (nonostante qualche campo medio sulle bellezze artistiche del centro di Torino) claustrofobia (scene nella villa romana) e dall’ottima colonna sonora (senza tempo) dei Goblin, ma anche da una scenografia impeccabile (e impavida allorquando sceglie di celare - fra i macabri volti appollaiati sulle pareti di un lungo lugubre corridoio - quello più macabro di tutti…).
I gap della sceneggiatura, dunque, non increspano la suspense. Il sapore amarognolo dell’incompletezza risulta, infatti, così frammisto a quello di altri gusti (decisamente più preponderanti) da riuscire - come preconizzato dall’amico Carlo (Gabriele Lavia) - a risultare lungamente impercettibile.
L’ottima fama di cui gode il film risulta, in definitiva, ampiamente meritata.
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